Vigilanti, operosi, inquieti, vivi

XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Tutto passa, perciò non lasciar passare niente inutilmente.

Domenica scorsa il Vangelo ci ha presentato un personaggio impossibile da dimenticare: l’uomo ricco che vuole diventare ancora più ricco per poter arrivare a dire: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». Sappiamo come è andata a finire. I beni non gli sono serviti a niente, perché: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Il commento di Gesù alla sua parabola: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
In questa domenica la parola di Dio ci presenta un’immagine completamente diversa dal ricco soddisfatto e appagato: servi in tenuta da lavoro - «le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» - , indaffarati per essere pronti ad aprire subito al padrone che torna da una festa di nozze.

Questo è il cristiano

Questi indaffarati operosi sono l’immagine dei cristiani che aspettano il Signore, consapevoli di essere in attesa del padrone della vita, e vivendo la provvisorietà non come un tabù, ma come «parte della meraviglia che siamo, una componente essenziale della nostra esistenza, che ci rende vivi e bisognosi di Cristo» (Cfr. papa Leone XIV ai giovani del Giubileo). La vita cristiana è aspettare il ritorno del Signore non soltanto per l’incontro definitivo, ma continuamente in ogni persona, in ogni decisione, in ogni operazione, sempre attivi e operosi, impegnati in una vita significativa, come ha esortato papa Leone: «Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo» (ibidem).
Vigilanti e operosi! La conclusione di Gesù alla sua parabola: beati coloro che il padrone, arrivando, troverà con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese: vigilanti, inquieti, operosi, vivi.

Vigilanti non ansiosi

La vigilanza che il Signore chiede non è però agitazione e ansia, non produce tensione, insicurezza, paura, ma desiderio e attesa, perché colui che arriva è il Figlio dell’uomo, Gesù, l’amico, lo sposo, il “servo” che lava i piedi ai suoi amici. La vigilanza non è nemmeno attendismo e braccia conserte. «Ciascuno di noi - ha dichiarato Papa Leone - è chiamato a confrontarsi con grandi interrogativi che non hanno una risposta semplicistica o immediata, ma ci invitano a metterci in cammino, a superare noi stessi, ad andare oltre, a un decollo senza il quale non c'è volo. Non allarmiamoci, allora, se ci scopriamo interiormente assetati, inquieti, incompleti, desiderosi di senso e di futuro. Non siamo malati, siamo vivi!» (ibidem).
A Gesù non basta trovarci. Vuole trovarci impegnati a spingere il nostro oggi provvisorio verso l’oggi definitivo. Vivere così - è importante sottolinearlo - non crea soltanto cristiani esemplari, ma anche uomini e donne significativi.

Provvisori operosi

La provvisorietà non toglie valore alla vita e a tutto quello che essa offre. E niente è più contrario alla fede del: “Tutto passa, perché impegnarsi? Meglio rimanere fuori della mischia, aspettando, sospirando, lamentandosi di ciò che non va. Proprio perché tutto passa, ogni istante della vita è unico e prezioso, un talento da non nascondere sotto terra, ma da trafficare, senza lasciare spazio alla pigrizia, alla superficialità, al pressappochismo.

Per fede

La molla che può far decidere di vivere nella provvisorietà vigilante e operosa è soltanto la fede: «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede», che sembra pazzia, invece è saggezza. Chi, infatti, è più sciocco e disastroso, per sé e per gli altri, di chi vive come se dovesse campare per sempre? E chi è più triste e inutile di chi non spera in ciò che ancora non vede? Anche dal punto di vista semplicemente umano, se non ci fossero stati uomini e donne capaci di cercare ciò che ancora non vedevano, saremmo ancora nelle caverne, non avremmo ancora inventato la ruota. «Non saremmo decollati», direbbe papa Leone.


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