Vivere con sapienza

XXXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2017

C'è qualcosa che non possiamo né prestare, né chiedere in prestito. È la sapienza della vita, cioè la scelta di vivere in armonia con ciò che la vita è nei pensieri di Dio che ce la dona, il filo coduttore della XXXIIa domenica.

Cosa è quell'olio in piccoli vasi per rifornire le lampade accese, in modo che non si spengano qualora lo sposo tardasse ad arrivare? Dobbiamo chiedercelo, perché questa parabola sembra contraddire tutto il Vangelo, che invita a dividere ciò che abbiamo, mentre qui vengono lodate le ragazze che al "dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono", delle amiche, rispondono: "No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene". Se questo non è egoismo...

E' evidente che questo olio è il simbolo di ciò che non può essere diviso, che o te lo procuri, oppure nessuno te lo può dare, perché non è una cosa, ma una tua scelta di vita. La liturgia con la prima lettura ci suggerisce di identificare questo olio con la sapienza, che non è l'istruzione, e nemmeno la saggezza umana, ma la corrispondenza tra il nostro modo di intendere la vita e il pensiero di Dio su di essa. Questo olio, che non deve mancare mai, e che nessuno ci può prestare, è accogliere la vita per quello che essa è nei pensieri di Dio, e viverla di conseguenza. Per essere ancora più concreti: la sapienza è credere "che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti". Cioè, non vivere andando rassegnati o angosciati verso la morte, ma camminare incontro al Signore risorto, per risorgere con lui.

Andare incontro al Signore per risorgere con lui...
Crediamo che è così, però, la tristezza della vita che finisce tende comunque a prevalere sulla gioia dell'attesa dell'incontro con lui. La morte, infatti, è così contraria al nostro desiderio di vivere che facciamo di tutto per ignorarla, per esorcizzarla, per nascondercela, per ribellarci. C'è un grido che rivela questo stato d'animo: "Non si può morire così!", che ci esce dal profondo dell'anima come un gemito quando la sentiamo particolarmente crudele, perché colpisce chi ha appena iniziato ad averla tra le mani, come i bambini; oppure chi è nel suo pieno, come i giovani. Chissà quante volte lo abbiamo silenziosamente gridato in questi giorni, percorrendo i sentieri dei nostri cimiteri.

Riconosciamolo! E' difficile accettare questo andare incontro al Signore come bella notizia, come Vangelo, e soprattutto vivere di conseguenza. Siamo sinceri: quanto tempo dei nostri giorni trascorriamo, vivendo come coloro che sono "tristi perché non hanno speranza" , cioè senza preoccuparci di portare con noi l'olio in piccoli vasi?

E' difficile, ma la sapienza, che "si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano", può aiutarci ad avere speranza perché ci fa accogliere la provvisorietà non come una condanna, ma come una risorsa. La nostra vita terrena è destinata a finire. E' così e non c'è alternativa. Far finta che non sia vero, oppure aspettare con angoscia la fine può portare all'evasione, allo sballo, al nonsenso, o comunque al disimpegno: "tutto finisce, allora perché impegnarsi?". Invece, accogliere la provvisorietà come sapienza di vita, ci spinge a non perdere nemmeno un istante di questa vita, passeggera e comunque breve, per costruire opere che ci seguiranno per sempre (Cfr. Ap 14,13).

La prima lettura annuncia questo messaggio con un'immagine bella e poetica: "Chi si alza di buon mattino per cercarla [la sapienza] non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta".

Bellissimo! Chi si alza di buon mattino, chi non dorme, chi non perde tempo, chi non si lascia bloccare dal pensiero della fine, chi trova addirittura la capacità di desiderarne l'incontro con il Signore, come il salmista che invoca: "O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco, ha sete di te l'anima mia", rimarrà sempre con la lampada accesa. E davanti alla porta dello sposo, dove comunque tutti si dovrà arrivare, non sentirà il terribile, drammatico e definito: "Non ti conosco".


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