Vivere da risorti

IV Domenica di Quaresima (laetare) - Anno B

La vita eterna è un dono da testimoniare e coltivare.

Non sappiamo cosa avrà pensato Nicodemo, ascoltando, nell’incontro notturno per paura dei Giudei, queste affermazioni: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Sarà rimasto sicuramente molto sorpreso e anche perplesso nel sentire che credere in colui che gli stava parlando, dava la possibilità di avere la vita eterna, non dopo ma fin da adesso: non “avrà”, ma “abbia”.
Perplessi lo siamo anche noi, e anche di più perché conosciamo le parole di San Paolo: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù». Non “ci farà” rivivere, ma “ci ha fatto” rivivere; non “ci risusciterà e farà sedere nei cieli”, ma “ci ha risuscitato e fatto sedere nei cieli”. È un messaggio tanto straordinario che è sembrato inevitabile attutirne il significato interpretandolo al futuro, dal momento che nella vita presente di eterno non vediamo e non c’è proprio niente. Però, niente da fare, Gesù parla del presente ed è così che dobbiamo intendere: in Cristo Gesù noi siamo già rinati e risuscitati. È difficile vederci come persone risorte che vivono già la vita eterna, però, Gesù l’ha affermato nel discorso programmatico del monte, dichiarando beati e già nel regno dei cieli tutti quelli umanamente considerati perdenti.

Fare spazio alla vita eterna

Le affermazioni di Gesù e di San Paolo ripetono e chiariscono che il nostro impegno di credenti non è quello di accumulare meriti per rivivere e risorgere, ma quello di fare emergere la vita eterna che ci è stata donata, dando un’impronta diversa alla nostra fede e alla nostra vita. Siamo stati abituati - lo abbiamo lasciato fare e siamo sempre tentati di farlo - a vivere la fede in negativo, cioè rinunciando, lasciando, non pensando, non dicendo, non facendo e così guadagnare la vita eterna. Ciò che invece ci viene chiesto è testimoniare che in Cristo Gesù siamo rinati a vita nuova e che in lui siamo risuscitati, con una vita carica di opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Ma cosa significa essere già nella vita eterna e vivere da risorti? Non pensiamo - fatte salve chiamate speciali - a cose che non possiamo raggiungere e portare. La fede non ci propone cose «troppo alte per noi e troppo lontane da noi, ma molto vicine a noi, nella nostra bocca e nel nostro cuore, perché possiamo metterle in pratica» (Cfr. Dt 30,11-14): piccoli gesti che realizzano cose grandi. Non c’è chi non distingua la differenza tra il non offendere, il non trattare con durezza e a male parole, il non trascurare, il non ingannare, il non negare il dialogo, il non sfogare il nervosismo sugli altri, il non perdere la pazienza, e tanti altri “non fare, non dire”, dall’essere accoglienti, dall’ascoltare, dal trattare gentilmente, dal salutare, dall’essere pazienti, dall’essere veri e sinceri. Non fare il male rende la vita passabile. Fare il bene la rende bella.

Salire a Gerusalemme

La prima lettura della Messa racconta che il re persiano, Ciro, inaspettatamente decide di chiudere il tempo dell’esilio dei Giudei deportati a Babilonia, facendo proclamare anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo… mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!». Ciro, come tanti altri profeti inconsapevoli (Gv 11,49: il sommo sacerdote Caifa; Nm 22,21: Balaam e l’asina) non poteva conoscere il senso vero e profondo di quello che diceva, cioè che Gerusalemme è il simbolo della vita nuova, della vita risorta. Questo stesso invito ci viene rivolto oggi, anche se inconsapevolmente, da coloro che si sono accasati con l’esilio; che hanno accettato di cantare i canti del Signore in terra straniera. La fede è tornare dall’esilio, è far germogliare e sviluppare i germi della vita risorta. Perciò, lasciamo le cetre appese ai salici di Babilonia e saliamo a Gerusalemme.


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