I giorni corrono non bisogna lasciarli sfuggire.
«Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”». È difficile per noi immaginare l’effetto di queste parole su coloro che lo ascoltavano; forse, se qualcuno ci dicesse che tra pochi giorni la basilica di san Pietro cadrà a pezzi, potremmo capire appena un po’; perché il tempio per gli ebrei non era soltanto un edificio che si sarebbe potuto ricostruire (pensiamo alla cattedrale di Notre-Dame a Parigi) ma la casa di Dio, il segno visibile della sua presenza. Lo shock per le sue parole sarà diventato anche più sconcertante e preoccupante perché Gesù, continuando il discorso, ha messo insieme alla fine del tempio quella di Gerusalemme e quella del mondo, con un parallelo tutt’altro che arbitrario, dal momento che se finisce il tempio, casa di Dio, finisce la città santa, finisce il mondo, finisce tutto.
Tutto è provvisorio, tutto è di passaggio! Non è facile accettare questa realtà, anche se ci viviamo dentro e non possiamo fare a meno di viverci, perché la provvisorietà ci rende inquieti, incerti, ansiosi, ci preoccupa e ci fa anche paura. Per questo, come gli ascoltatori di Gesù, vorremmo anche noi attutirne la tristezza e lo sconforto con la conoscenza del “quando” e dei segni della fine per prepararci in tempo: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?»; così potremo stare tranquilli fino a quel disgraziato momento.
Ma Gesù non rispose - e non risponde - sul “quando”, anzi invitò - e invita - decisamente a non dare ascolto a chi dice di conoscerlo: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!”»; e non indicò - e non indica - il segno perché i segni della provvisorietà e della fine sono attivi nello scenario del mondo: nazione contro nazione, regno contro regno, terremoti, carestie e pestilenze in diversi luoghi, fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo… E tutto passa, tutto finisce, niente è per sempre.
Cosa comporta prendere consapevolezza che tutto è provvisorio? Sicuramente non vivacchiare a scartamento ridotto, senza impegno, a braccia conserte… perché tanto tutto finisce. Ma vivere al massimo, senza sprecare neppure un istante della vita, perché ogni istante è prezioso: passa e non ricapita più, perciò non va consegnato alla pigrizia, alla banalità, al nonsenso, all’ozio.
San Paolo ci si propone come esempio e come maestro: «Noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi». Da qui il suo perentorio: «chi non vuole lavorare, neppure mangi». Gesù ammirava la bellezza del tempio di Gerusalemme. Se non fosse stato costruito (come tutte le meraviglie costruite sulla terra) … tanto anche esso sarebbe finito…, non ne avrebbe ammirato la bellezza, e non avrebbe pianto prevedendo la sua fine. Rinunciare a costruire il bello, il buono, il vero, perché… tanto finiranno, significherebbe non utilizzare e sprecare il dono irripetibile della vita, andando incontro alla minaccia del profeta Malachia: quel giorno sarà come un «forno rovente» che brucerà gli sprovveduti fino a non lasciar loro né radice né germoglio; mentre per coloro che avranno apprezzato il dono di Dio sorgerà come i raggi benefici del sole.