Vivere perdonando

XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2020

In una società rissosa e violenta è necessario l'antidoto della misericordia.

«Quante volte devo perdonare?», chiede Pietro a Gesù. La sua domanda è anche la nostra. Chissà quante volte ce la siamo posta. E anche a noi come a Pietro interessa la quantità: quante volte? Apparentemente la risposta di Gesù sembra rispondere a questa esigenza. Non è così! Il "settanta volte sette" non significa che arrivati a quattrocentonovanta si può iniziare a non perdonare, perché il "settanta volte sette" non indica un numero ma una scelta: sempre. E neppure che arrivati al quattrocentonovanta bisogna ricominciare a contare da capo. No! Perdonare settanta volte sette significa che bisogna vivere perdonando. Se non fosse così il messaggio evangelico indurrebbe a pensare al cristiano come a colui che le prende sempre, incapace di reagire ai violenti, ai prepotenti, agli arroganti, ai profittatori.

Vivere perdonando non significa, perciò, soltanto perdonare le offese che capita di ricevere, ma impegnarsi a creare una cultura di comprensione e misericordia che si contrapponga e stemperi il rancore e l'ira - i sentimenti definiti dal Siracide "cose orribili" – e tutto ciò che fomenta il clima di odio, di violenza e di vendetta che ammorba la nostra società, come impietosamente la cronaca (vedi l'omicidio del povero ragazzo di Colleferro) e i social media ci dimostrano. Questi, i social media, non soltanto ce lo mostrano ma lo diffondono, tanto che si parla da tempo di "leoni da tastiera", "haters": una categoria di odiatori che approfittando dell'anonimato scrivono in modo aggressivo, insultando, offendendo, screditando, minacciando.

Per contrapporsi al rancore e all'ira che ammorbano le relazioni interpersonali e sociali i mezzi umani sono noti: più forze dell'ordine, più telecamere, più intercettazioni, pene più severe... Tutte cose non risolutive, se non sono accompagnate dal rifiuto culturale e spirituale dell'odio e della vendetta: il peccato che sta accovacciato davanti alla porta di Caino e di ogni uomo e ogni donna (Gen 4,7), sempre pronto a trasformare l'istinto all'autodifesa in offesa alla vita altrui. Questo istinto, che guida la vita degli animali e ne assicura la sopravvivenza, nella specie umana può essere controllato e addirittura annullato con una motivazione più forte, come ha fatto pochi giorni fa l'avvocata turca, Ebru Timtik, morta in un carcere di Istanbul dopo 238 giorni di sciopero della fame a difesa dei processi giusti.

Sono molte le motivazioni che possono aiutare a superare la violenza: la libertà, la pace, la giustizia... Il vangelo, con la parabola del re dal cuore grande e del servo meschino ne propone una che le riassume e le potenzia tutte: se Dio perdona me, io devo perdonare gli altri. Parabola bella e severa! Bella, perché sapere che c'è un Re disposto a perdonare ai suoi servi diecimila talenti, cioè tutto, è consolante. Severa, perché con questo re dal cuore grande non si può scherzare, diventa severissimo con chi esce perdonato dalla sua casa e va a prendere per il collo il fratello: «Servo malvagio!... Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Ma è possibile vivere perdonando, cioè controllando, contrastando, rifiutando le cose orribili del rancore e dell'ira? Se non fosse possibile non esisterebbe la Chiesa. Essa nasce da una storia di perdono che parte dal «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34), e continua via via fino ai nostri giorni..., a don Puglisi, ai genitori ai quali vengono uccisi i figli, ai figli ai quali vengono massacrati i genitori. Quando si viene a conoscenza di questi testimoni del perdono accade un fatto significativo: li si ammira, li si loda, li si esalta come eroi.

Si scopre così che la proposta di Gesù del perdono "settanta volte sette", all'opposto del nostro istinto all'autodifesa e alla vendetta, si rivela per quello che è: un antidoto al rancore, all'ira, alla collera, alla vendetta, per una vita buona e serena per sé e per tutti. Quello che il cuore cerca.

 


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