Vogliamo vedere Gesù

V Domenica di Quaresima - Anno B - 2018

La conversione ci chiede una fede più matura e più decisa per seguire Gesù, anche e soprattutto nei momenti del "chicco di grano" da far morire nel terreno e delle "forti grida e lacrime".

Per la festa di Pasqua arrivavano a Gerusalemme da tutta la Palestina, ma anche – diremmo noi – dall'estero. C'erano dei Greci, infatti, che avendo sentito parlare di un maestro particolare - molto particolare per avere incuriosito dei Greci (più o meno i parigini di oggi) - dicono a Filippo, il più "internazionale" degli apostoli: «Signore, vogliamo vedere Gesù». La richiesta viene esaudita e i due vanno da Gesù. A questo punto ci aspetteremo il racconto dell'incontro, il resoconto del dialogo. Invece l'evangelista, come nel suo stile, passa dal fatto al suo significato profondo, lasciando la parola a Gesù, e il Maestro non risponde direttamente ai Greci, ma rivela il senso della sua "ora", sempre più imminente, ai suoi discepoli e a noi.
Gesù prende spunto da questi "non Ebrei" che lo cercano per dichiarare che egli è la nuova alleanza, promessa da Dio tra sé e gli uomini. Nuova, perché non più con un popolo ma con tutti; non più scritta su tavole di pietra, ma "dentro al cuore" di ognuno; non più consistente in sacrifici di cose e di animali, ma nel Figlio, "innalzato" da terra per attirare tutti coloro che vogliono essere salvati.

Così, in questa domenica di Quaresima, per la nostra conversione, Gesù ci ricorda il "come" della sua "obbedienza" al Padre, affinché diventi il nostro, così da avere la vita eterna ed essere "onorati" dal Padre. Esso è racchiuso nella similitudine del chicco di grano che per produrre molto frutto deve morire nella terra, e tutto questo dimostrato dalla sua testimonianza: «Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome».

Su questo turbamento di Gesù non meditiamo quasi mai, o comunque troppo poco, pensando che per lui morire per la nostra salvezza sia stato quasi un gesto teatrale. Non è così. Basti ascoltare l'autore della lettera agli Ebrei: «Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito». Parole che ci portano nell'Orto degli Ulivi, dove Gesù, come uno di noi nei momenti tragici, chiede al Padre di essere liberato da quel calice di sofferenza e dolore che stava per cadergli addosso.
E "venne esaudito", scrive l'autore sacro. Ma in che modo, se da lì a poco sarebbero arrivati per arrestarlo e condannarlo? Fu esaudito perché per l'obbedienza al Padre divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Questo per noi cosa significa?
Significa liberare sempre di più la nostra fede dall'infantilismo che ce la fa intendere come un mezzo per spingere Dio a realizzare i nostri progetti, invece che obbedire a lui, anche quando ci chiede di accettare la scelta del chicco di grano.
Significa anche – e in questo nostro tempo è urgentissimo – riscoprire la potenza devastante del male, perché rischiamo di essere risucchiati dal "che male c'è?", dal "perché è male se mi piace e mi diverte?", dal "lo fanno tutti, perciò...". Se per liberarci dal male Gesù ha gridato e pianto, ogni cedimento a strade diverse dalle sue comporta un accumulo di pena e dolore, che poi quando esplode ci meraviglia, come se non dipendesse da noi.

Significa che per essere attirati da Gesù "innalzato" e ricevere la sua salvezza; per sapere come seguirlo, non dobbiamo cercare chissà dove, ma guardare a lui. Dobbiamo dire a noi stessi ogni giorno, in ogni azione, in ogni situazione: "Vogliamo vedere Gesù".


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