L’abbraccio di Gerusalemme

L’incontro tra Paolo VI e il patriarca Athenagoras

«Ecco che, avendo cercato di incontrarci l'un con l'altro, abbiamo incontrato, insieme, il Signore. E lui verrà a unirsi al nostro cammino e ci indicherà la via da seguire» (Athenagoras).

Il Papa pellegrino
È il 5 gennaio 1964. Paolo VI è rientrato da poco nella Delegazione Apostolica di Gerusalemme, una costruzione bassa sulle pendici del Monte degli Ulivi. È giunto il giorno prima, come pellegrino in Terra Santa. Dopo aver percorso la Via Dolorosa, ha pregato al Santo Sepolcro, ha visitato Nazareth, ha sostato sul lago di Tiberiade, e poi sul Tabor. Migliaia di persone di ogni fede gli si sono fatte incontro, si sono strette attorno a lui, hanno accompagnato i suoi passi. È ormai buio quando rientra a Gerusalemme. Ma la lunga giornata non è ancora terminata.

Dopo cinque secoli
Lo attende un incontro destinato a divenire il momento più alto, il simbolo di questo pellegrinaggio. Sono passate le nove di sera quando un lungo corteo di macchine si arresta davanti all'ingresso. Il cardinal Eugène Tisserant, decano del Sacro Collegio, attende sulla porta l'ospite: Athenagoras, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, scende dall'automobile, gli si fa incontro e ricambia con calore il suo saluto... È qui per incontrare il papa. Giornalisti e fotografi che sono in attesa si fanno attorno per riprendere quell'evento straordinario: l'incontro tra il primate della Chiesa d'Oriente e il papa di Roma, il primo dopo circa cinquecento anni.

La potenza dei gesti
Quando Paolo VI gli va incontro, ai piedi della scala, a braccia aperte, l'anziano patriarca, senza esitazioni, avvolge in un abbraccio l'esile figura del papa. Un gesto che coglie di sorpresa tutti i presenti, che non si aspettavano tanto calore. L'immagine dell'abbraccio tra Paolo VI e Athenagoras fa, in poche ore, il giro del mondo. Fa freddo quella notte a Gerusalemme, eppure quel primo incontro tra un papa di Roma e un patriarca di Costantinopoli, dopo secoli di distanza e freddezza tra le Chiese d'Oriente e d'Occidente, cancella le distanze marcate dalle reciproche scomuniche di quasi mille anni prima e segna l'inizio di una stagione nuova: la «primavera» auspicata da Giovanni XXIII.

In cammino verso l'unità
Nulla, nel loro colloquio, fa pensare a un "vertice" religioso, in cui affrontare le divergenze canoniche e teologiche che da secoli dividono le due Chiese. La scelta che li accomuna è partire da un'altra prospettiva, quella che papa Giovanni XXIII – la cui figura viene più volte evocata nel corso del colloquio – sintetizzava nel «cercare ciò che unisce e lasciar da parte ciò che divide». È l'invito a prendere parte a quello che è stato definito il dialogo della carità: riprendere le fila di un discorso interrotto da secoli, tornare a conoscersi e comprendersi, creare dei canali di comunicazione diretti, trovare un linguaggio comune. Sul Monte degli Ulivi, quella notte, papa e patriarca sono consapevoli di aver compiuto un passo che apre una nuova stagione nei rapporti tra le Chiese.

Da: valeria Martano, L'abbraccio di Gerusalemme, Paoline.

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