Come è in cielo, così sia in terra

Il carcere tra giustizia, perdono e misericordia

Un’intervista a tutto campo a chi da mezzo secolo condivide le sue giornate con le persone recluse, le guarda negli occhi e ne ascolta le storie. Una sorta di diario del carcere e sul carcere che fa capire il senso profondo della giustizia e della pena: non «rinchiudere e buttare la chiave», ma sostenere percorsi di cambiamento, agire sul retroterra sociale, restituire la fiducia nell’umanità a chi l’ha perduta e tradita. solo così ci sarà un “dopo” diverso dal “prima”. Per chi ha sbagliato, e per l’intera società.

L’augurio contenuto nel titolo del libro è preso di peso dalla preghiera del Padre nostro che Gesù suggerisce a chi gli chiede come pregare. Le pagine di questo libro trasudano questo augurio, perché di un augurio si tratta, anche se è un augurio impegnativo, che vincola. Per essere precisi, in questa preghiera-augurio si chiede: sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Il cielo non è un modo di dire che rimanda a un luogo lontano e disincarnato, ma un punto di riferimento concretissimo, che ha a che fare con la giustizia, la libertà e la dignità di cui ogni persona ha bisogno per vivere… e la volontà del Padre è proprio la vita piena di ognuno di noi. Questo vale anche per chi è in carcere, perché, come Papa Francesco ha detto ai detenuti italiani nel 2016: «Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato… c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto…».
Questo libro ci invita a guardare il carcere con gli occhi di padre Vittorio Trani, ofm conv., che da quasi cinquant’anni vive con i detenuti del carcere più famoso d’Italia, il Regina Coeli di Roma. I giornalisti Stefano Natoli e Agnese Pellegrini che hanno raccolto questa umanissima e trasparente testimonianza sono anche volontari in carcere.

A una delle prime domande dei due giornalisti su che cosa lo abbia convinto a rimanere così a lungo a Regina Coeli padre Vittorio risponde: «Può sembrare banale, ma il motivo è … che mi sono trovato bene. Come uomo e come prete. Nonostante tutti i problemi. E la sera, quando faccio il punto della mia vita, mi accorgo che la giornata mi ha dato sempre qualcosa di bello per cui essere grato, una motivazione per arricchirmi, fosse anche soltanto un sorriso. Ecco, la verità è che in questi cinquant’anni sono stato felice. E non è poco». Una risposta che magari non ci si aspetta, così netta, così diretta e semplice; una risposta che nasce dalla sua convinzione che il riconoscimento della comune umanità è alla base di un legame leale che si costruisce tra un recluso e un sacerdote - uomo tra gli uomini - che crede nella dignità di figlio di Dio che ogni persona, anche se colpevole, conserva.
Come credenti, sostiene padre Vittorio, ci deve essere l’impegno a trasformare l’augurio del Padre nostro nella possibilità di fare in modo che… come è in cielo così sia davvero in terra. In concreto fare sì che anche dentro un carcere sia possibile far incontrare la giustizia, la misericordia e il perdono.

Questo prete sa benissimo che l’obiettivo è molto alto; ci si scontra con tanti ostacoli, alcuni dei quali risultano crudeli perché di natura burocratica che rallenta i tempi e genera lungaggini a scapito della “Giustizia” con la “G” maiuscola. La conversazione raccolta in queste pagine solleva questioni spinose per quanto attiene alla realtà carceraria e all’obiettivo sancito dalla nostra Costituzione all’articolo 27 che recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Le persone recluse, anche se responsabili di reati, restano comunque persone. Non di rado invece il senso di umanità viene a mancare e quanti vivono l’esperienza detentiva sperimentano situazioni dolorose e umilianti.
«In Italia il pubblico non sa abbastanza… che cosa siano certe carceri italiane. Bisogna vederle, bisogna esserci stati per rendersene conto… Vedere! Questo è il punto essenziale». Sono parole pronunciate da Piero Calamandrei, politico, avvocato, membro dell’Assemblea Costituente, in un discorso alla Camera dei Deputati nell’ottobre 1948. Padre Vittorio, citando proprio l’illustre politico, sostiene che chiunque voglia impegnarsi per migliorare la realtà del carcere deve andare a rendersi conto di persona per comprendere di quanto dolore e quanta umiliazione inutili sia segnato il percorso di chi vive in carcere. Ed è triste che parole pronunciate 75 anni fa siano ancora così dolorosamente attuali.
Padre Vittorio è molto esplicito: «Se infrango la legge è giusto che io sia punito, ma non è altrettanto giusto che sia costretto a convivere con altri in celle anguste, umide e sporche, non di rado sprovviste di docce e acqua calda, con cucine a ridosso di bagni senza porte. Se la gente potesse davvero vedere in che condizioni sono costrette a vivere le persone private della libertà, probabilmente non sarebbe così disinteressata e insensibile alla loro sorte. E le carceri non sarebbero, come sono ora, una pena aggiuntiva a quella da scontare».
Realizzare una giustizia che sia in terra come è in cielo è una utopia, ma le utopie servono a spingere sempre un po’ più in avanti l’asticella del traguardo e questa spinta può essere accelerata dalle Istituzioni che spesso sono latitanti. La maggioranza di coloro che varcano le soglie della prigione viene da esperienze di povertà e di degrado di cui sono vittime. L’ingiustizia e la corruzione che pervadono la società colpiscono i più deboli respingendoli ai margini della convivenza civile, e da lì all’illegalità il passo è molto breve. Queste sono le vere piaghe da combattere!

In questo quadro faticoso c’è una luce ed è quella del volontariato che offre dignità, speranza e vicinanza ai reclusi. Ci sono molte associazioni che offrono tempo, forze, risorse e sono per i reclusi l’unico contatto che alimenta la speranza e restituisce loro dignità. Vale la pena leggere questo libro molto interessante e pieno di speranza come dimostra questa frase di Padre Vittorio: «È proprio vero che ancora nessuno ha inventato cancelli capaci di bloccare i gesti di amore».

Intervista a p. Vittorio Trani


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