In dialogo con Etty Hillesum

Etty Hillesum non finisce di stupirci... Ancora oggi, a più di settant'anni dalla sua morte (Auschwitz, 30 novembre 1943), davanti a questa donna che ha saputo trasfigurare la propria vita lasciandola maturare verso la sua pienezza e imparando a pregare e a meditare, non si può non inchinarsi con... venerazione.

Da lei apprendiamo una saggia lezione: il cuore umano può diventare un pozzo che racchiude acqua preziosa, perché invaso dalla percezione di una divina compagnia... che aiuta a vivere!

«Se amo le persone con tanta passione è perché in ognuno di loro amo una parte di te, mio Dio. Ti cerco dappertutto negli uomini e trovo spesso una parte di te. E cerco di scavare a fondo nei cuori degli altri per portarti alla luce».

La sua convinzione che «nulla può esserci più portato via», strappa al dubbio e alla disperazione. Lei si piega sul dolore e sulla sofferenza altrui, sa farsi solidale fino a dare la vita. «Ogni volta che una donna o un bambino affamato scoppiavano in singhiozzi davanti a una delle scrivanie dove lo registravamo, mi avvicinavo e rimanevo là, dietro a lei o dietro a lui, protettiva, con le braccia incrociate, sorridente... Rimanevo là, offrivo la mia presenza, che cosa si poteva fare d'altro? Talvolta mi sedevo accanto a qualcuno, passavo un braccio intorno a una spalla, non parlavo molto, guardavo i volti... Niente mi era estraneo... Oso guardare ogni sofferenza in fondo agli occhi, la sofferenza non mi fa paura».

Gli scritti di Etty abbracciano lo spazio intimo del mondo, quindi l'universale!

Il suo cuore ospita tutti indistintamente

Per lei non ci sono differenze di razza, cultura e religione. Nonostante l'orrore che sperimenta e vive, non perde la lucida capacità di affermare che il mondo è bello. «Trovo la vita piena di senso, sì, piena di senso nonostante tutto, anche se quasi non oso dirlo in pubblico. La vita e la morte, la sofferenza e la gioia, le vesciche dei piedi massacrati a forza di camminare... e il gelsomino in fondo al mio giardino, le persecuzioni, le innumerevoli crudeltà arbitrarie, tutto, tutto è in me e forma un insieme potente, lo accetto come una totalità indivisibile».

Come bambina che sogna di essere in una bobina di filo che continua a essere srotolata, così Etty si abbandona con consapevolezza e coraggio al precipitare degli eventi che portano allo sterminio di milioni di ebrei. Il suo è un gesto di portata sempre più ampia. «Le persone non possono capire che l'accettazione non esclude un'indignazione morale elementare e una combattività di principio».

Le sue ultime parole giunte a noi sono quelle della cartolina che ha scritto a Christine Van Nooten, quel 7 settembre 1943: «Christine, apro la Bibbia a caso e trovo queste parole: "Il Signore è il mio alto ricetto". Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure... Forse anche della mia ultima lunga lettera?». Straordinaria capacità di cantare la vita... Fino alla fine!

Per conoscere questa testimone dell'irrefrenabilità della vita e di Dio, ma anche per accogliere la narrazione della sua interiorità, reinterpretata con il cuore di una donna di cultura arabo-islamica, Karima Berger, ti suggerisco Anime attente. Dialogo con Etty Hillesum (Paoline). In queste pagine, due donne si incontrano: Etty Hillesum e la Ragazza col turbante, una giovanissima donna del Marocco, le cui parole prendono vita da un ritratto che Etty tiene appeso nel suo ufficio. Il loro dialogo ospita mondi e culture diverse ed è il pretesto per scandagliare, ancora una volta, l'animo di E. Hillesum.


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