Il titolo di questo saggio è uno di quelli in cui si inciampa! Perché un titolo così inusuale per parlare di alcune donne che hanno aperto strade di spiritualità e di mistica?
Maria Luisa Eguez, autrice del volume, si preoccupa di spiegare questa espressione, solo apparentemente ardita, ma non lo fa nell'introduzione, come ci si potrebbe aspettare, bensì nell'ultima parte del libro, nel capitolo che si intitola appunto Il Padre che partorisce. Cito dal libro: «In Giovanni c'è una parola ricorrente, teknía o tékna, tradotta di solito in italiano con figlioli o figli ... teknía o tékna derivano dal verbo tíkto che vuol dire partorire, generare... il termine tipicamente femminile ci rimanda al volto materno della filiazione spirituale, al volto materno di Dio».
Le donne di cui si parla in questo libro sono Gabrielle Bossis, Madeleine Delbrȇl, Etty Hillesum e Simone Weil, donne eccezionali che hanno segnato il Novecento; e parlare del Novecento significa parlare di due guerre mondiali, della Shoah e di altri genocidi. Le donne protagoniste di questo saggio hanno attraversato tutto questo dolore, l'hanno vissuto sulla loro pelle.
Il Novecento, però, è anche il secolo della Dichiarazione dei Diritti Umani, è il secolo del Concilio Ecumenico Vaticano II, un evento la cui portata ecclesiale e culturale è enorme e ancora da scoprire in tutta la sua forza rivoluzionaria; un concilio che non si è preoccupato principalmente di dichiarazioni dogmatiche, di stabilire punti fermi di carattere dottrinale, ma di aprire il dialogo con il mondo contemporaneo, per ascoltarne le istanze, per accoglierne le provocazioni, per offrire ulteriori percorsi alle donne e agli uomini del nostro tempo; un concilio che ha rivelato un volto materno - rimaniamo in tema! - della Chiesa. Una rivoluzione, quella conciliare, che porta il nome di donne e uomini, e sono tanti, che hanno aperto queste strade con coraggio profetico, accettando la fatica di spingere in avanti la dottrina e la prassi. Queste figure hanno fatto del "secolo breve" un tempo di semina, di fermenti, di passi, apparentemente piccoli e silenziosi, ma proprio per questo, passi decisivi.
Le donne protagoniste di questo saggio fanno parte proprio di questa moltitudine. Quattro donne con esperienze umane e spirituali molto diverse tra di loro, che hanno scoperto l'Assolutamente Altro dentro esperienze singolari. Sono donne che hanno abitato il mistero di Dio e lo hanno comunicato con modalità assolutamente originali, in cui, però, si possono trovare molti punti di forza.
Gabrielle Bossis, con il teatro nelle vene, percorre molte strade portando in tournée per il mondo le sue pièces teatrali che raccontano il Bene con levità e grazia e traducono un incessante dialogo con il Cristo, documentato nel volume Lui e io, pubblicato nel 1949 e diventato presto un best seller.
Madeleine Delbrȇl, missionaria senza battello, come ama definirsi, che sceglie la strada, come luogo di evangelizzazione e di condivisione con i poveri, in difesa dei loro diritti, al di là delle ideologie correnti.
Etty Hillesum, la giovane donna ebrea che, come la regina Esther di cui porta il nome, decide di condividere il destino del suo popolo, pur potendo salvarsi, e morirà ad Auschwitz. Pochi mesi prima di morire scrive: «Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore (...). Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra. E ancora: Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali... Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi».
Simone Weil, anche lei ebrea, anche lei un'intellettuale acuta e brillante, filosofa, insegnante, contadina, operaia, giornalista. È lei stessa a spiegare queste diverse professioni nel suo libro famoso, L'attesa di Dio: «Avverto il bisogno essenziale, e credo di poter dire la vocazione, di passare fra gli uomini e i diversi ambienti umani fondendomi con essi, assumendone lo stesso colore (...), dissolvendomi fra loro, affinché si mostrino quali sono, senza dissimularsi ai miei occhi. Desidero conoscerli per poterli amare quali sono... [È la] vocazione a rimanere in qualche modo anonimi, capaci di amalgamarsi in qualsiasi momento con la pasta della comune umanità».
L'Autrice rintraccia nell'esperienza di queste quattro donne un denominatore comune: la gioia biblica, quella che si appoggia su salde convinzioni e non è preda di effimeri entusiasmi. Sono donne concrete, per questo sono anche mistiche; la mistica vera, infatti, è la capacità di attraversare l'opacità del quotidiano con la luce che viene dal sapersi abitati da una verità e da un amore più grande di sé stessi.
Il libro si apre con un'ampia premessa sulla paternità/maternità di Dio e sulla gioia come dono mistico con cui il Signore lega un'anima a sé. È possibile essere mistiche senza avere visioni o estasi, e al contempo laiche, lavoratrici, impegnate nel sociale?