Raccontare: una responsabilità

Ai giornalisti il microfono della storia

#costruiamolapace è la grande sfida dei nostri giorni e di sempre. Oggi la voce è quella di una giornalista, una delle tantissime giornaliste che, con profondo amore alla verità e alla storia, vivono la loro professione come una ricerca mai finita, come una risposta da dare alla storia, come una strada da indicare a ogni coscienza. Per giornalisti come, Chiara Genisio, raccontare è far vivere!

Le parole sono il mio lavoro. Raccontare ciò che accade intorno a me è la mia quotidianità, un impegno affascinante, a volte faticoso, a tratti emozionante non senza punte di routine e di banalità. Ci sono momenti in cui sento forte la responsabilità di avere il potere di cambiare la storia di una persona. È una sensazione importante, mi aiuta a commettere meno errori, a prestare più attenzione anche ai piccoli dettagli, a non sottovalutare ciò che in apparenza potrebbe sembrare un'inezia. Basta poco, un vocabolo sbagliato, ed ecco che il senso del racconto può cambiare direzione, creare fraintendimenti, produrre ferite, confusione, illusione, disinformazione. L'impegno è quello di non scordare mai che dietro ogni narrazione ci sono uomini e donne di cui parlo e altri che leggeranno.

Come non cadere nella superficialità?

Credo che ciascun giornalista, io per prima, debba trovare dentro di sé la risposta giusta. Senza mai abdicare al dovere di raccontare. Perché se è grave fornire di un fatto una versione con omissioni e deviazioni è ancora più grave non parlarne affatto. Quando l'editore Paoline mi ha chiesto di scrivere un libro sulla vicenda che aveva coinvolto i due sacerdoti, don Mario e don Giuseppe, in quel tragico 19 settembre 1943, giorno drammatico per la nostra storia, mi sono chiesta cosa potevo aggiungere che già non fosse stato scritto. Cosa potevo raccontare di nuovo e se aveva senso spendere altre parole sul quel giorno insanguinato. Perché riproporre la vita, l'esempio di due sacerdoti dopo oltre settant'anni?

Con tutto ciò che di terribile sta accadendo anche ai nostri giorni e che vede tanti sacerdoti, volontari, missionari, uomini e donne di pace, in prima linea, accanto ai perseguitati, ai profughi, alle vittime delle tante, troppe, guerre sparse in diversi Paesi, era ancora necessario scrivere di don Giuseppe Bernardi e di don Mario Ghibaudo?

La risposta è stata sì, si poteva, anzi era necessario.
La loro scelta di donarsi totalmente per gli altri, con consapevolezza, senza alcuna ricerca di eroismo, ma con il solo desiderio di condividere le sorti dei loro parrocchiani, di tutti gli abitanti di Boves di cui si sentivano responsabili meritava di essere ancora raccontata, riproposta. Era giusto farli conoscere a un pubblico più vasto.

Questa è la mia responsabilità. Certo molto meno impegnativa della loro che hanno sacrificato la vita. Ma don Mario e don Giuseppe insegnano a ciascuno di noi a non scappare davanti alle proprie responsabilità.

Raccontare per far vivere

E oggi più che mai abbiamo bisogno di esempi, di testimonianze così preziose. La mia responsabilità nel raccontare la loro storia, sta proprio qui, offrire uno spunto in più a chiunque avrà la pazienza di leggere le pagine di Martiri per amore per imparare a non cedere alla tentazione di fuggire dai propri obblighi. Grandi o piccoli che siano. Un mondo migliore e più giusto lo costruiamo insieme, unendo le forze, ciascuno per la propria parte. A me tocca quella di scoprire e raccontare delle belle storie. Proprio come quella del giovane don Mario Ghibaudo e di don Giuseppe Bernardi. Nel mio lavoro ho avuto come guida una grande donna, Etty Hillesum, con le sue parole ho aperto ogni capitolo. A lei ho spesso pensato scrivendo il libro, a lei che nel suo Diario 1941-1943 (Adelphi), annotava:

«Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà ricominciare tutto da capo e con tanta fatica. Non è anche questa un'azione per i posteri?»

Chiara Genisio. Torinese, giornalista, è direttore dell'Agenzia Giornali Diocesani del Piemonte. Collaboratrice del quotidiano Avvenire, con Paoline ha pubblicato nel 2004: Un prete ribelle. La storia di padre Carmelo di Giovanni.

#costruiamolapace è un mini-progetto per riflettere insieme sulla pace, sul nostro diritto-dovere di costruirla, di seminarla nelle relazioni e nella vita. Ruota attorno a tre articoli, che prendono spunto dagli eventi di Boves, nel 1943, e prepara alla Giornata internazionale per la pace, che si celebra il 21 settembre di ogni anno ed è stata voluta, nel 1981, dalle Nazioni Unite.


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