Senza perdono non c'è futuro

Dalla memoria una chiara risposta: il perdono è una concreta possibilità di un nuovo futuro. È questa la voce che si diffonde da Boves, come fosse eco, nel giorno in cui si ricorda la prima rappresaglia nazista in territorio italiano, dopo l'armistizio. Sofferenza e silenzio prima, poi un cammino lungo e faticoso per costruire riconciliazione, fino ad accendere oggi le lampade per la pace.

«Non c'è futuro senza perdono» è il titolo di un bel libro di Desmond Tutu, Arcivescovo di Città del Capo, Premio Nobel per la Pace 1984, presidente della Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana. Non si tratta semplicemente di una frase a effetto: sintetizza in modo efficace l'esperienza sudafricana nella quale è stato coinvolto tutto il popolo per il superamento dell'apartheid in chiave di riconciliazione.

E, se è lecito copiare, l'espressione potrebbe sintetizzare il cammino della comunità bovesana in questo settantennio. Boves, nel periodo del secondo conflitto mondiale, è stata teatro di tre rappresaglie naziste, delle quali la più menzionata è la prima, in quanto anche la prima avvenuta in Italia, il 19 settembre 1943, pochi giorni dopo l'armistizio dell'8 settembre e la conseguente occupazione delle truppe tedesche dell'Italia settentrionale e centrale. A margine del settantesimo del primo eccidio di Boves, Luigi Pellegrino nel suo libro, Memoria, dialogo e perdono: profezia per un nuovo futuro, ha presentato una interessante e approfondita riflessione, frutto di un cammino civile e comunitario che ha portato a prendere sul serio la parola perdono, a coglierne la poliedricità.

Per Boves rileggere il dramma degli eccidi con la prospettiva della riconciliazione ha assunto nel corso dei decenni colorazioni diverse, delle quali provo a delinearne alcuni tratti.

Dopo la guerra: dal silenzio alla pace

La prima reazione, quella durante la guerra e nei primi decenni del dopoguerra, potremmo dirla con il titolo di un interessante libro-testimonianza edito a cura dell'Associazione don Bernardi e don Ghibaudo: La sofferenza ed il silenzio.
Sofferenza: non c'è famiglia bovesana che non abbia avuto lutti dalla guerra.
Silenzio: come conseguenza della sofferenza; dovuto alla paura che ha continuato ad esserci nel clima ideologizzato del dopoguerra; come desiderio di dimenticare, perdonare e andare avanti.

Nel 1985 nasce a Boves la prima «Scuola di Pace»: un passo in avanti, guardando il futuro, nella consapevolezza che la pace non è riducibile ad assenza di guerra, ma richiede una pedagogia. In questa ricerca, preziosi i gemellaggi che l'Amministrazione Comunale stabilisce con due città: Castello di Godego (teatro dell'ultima rappresaglia nazifascista in Italia – 29 aprile 1945) e Mauguio (città francese vicino Montpellier, dove opera l'Associazione «Servir la paix»).

Nel 2008 la Parrocchia San Bartolomeo in Boves dà vita a una raccolta di testimonianze sulla vita di don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, rispettivamente parroco e viceparroco della parrocchia, martiri il 19 settembre 1943. Questo ha comportato anche una ripresa e un importante approfondimento storico. Guida per questo lavoro è stata un'affermazione di Benedetto XVI: «Il sangue dei martiri non invoca vendetta, ma riconcilia».

Nel 2014 l'Istituto Storico della Resistenza pubblica un utilissimo documento: Boves. 140 testimoni del 19 settembre 1943. In esso sono contenute le testimonianze date per il Processo contro J. Peiper che si tenne a Stoccarda negli anni 1964-68.

Passi di riconciliazione

La ricorrenza del 70mo anniversario (2013) è vissuta all'insegna della Riconciliazione. Un gesto significativo è stato l'inclusione, tra i nomi dei caduti del 19 settembre (letti durante la Messa), di Willy Steimetz, il soldato tedesco caduto nello scontro dello stesso giorno tra il battaglione delle SS e le neonate formazioni partigiane. Nello stesso periodo prendono avvio contatti tra la parrocchia di Boves e la Parrocchia cattolica di Schondorf, cittadina vicina a Monaco nel cui cimitero è sepolto Joachim Peiper, il maggiore che comandò l'eccidio di Boves. Gli scambi successivi si sono qualificati come incontri tra due comunità parrocchiali: con la gioia del conoscersi, il desiderio di fare luce sulla nostra storia, l'aiutarsi reciproco nel cammino da vivere reciprocamente.

Per la comunità bovesana, perdonare non è stato semplicemente un organizzare meeting o celebrazioni, ma un cammino di maturazione, che ha richiesto decenni, a cui hanno contribuito tanti protagonisti, e che ha messo insieme istanze diverse e complementari:

  • il non nutrire sentimenti di vendetta,
  • il voler essere operatori di pace,
  • il desiderio di conoscere a fondo la propria storia,
  • il gettare ponti con chi, una certa lettura storica considerava tout court nemici.

Questo lungo cammino ci rende consapevoli che il perdono è una pianta delicata e preziosa.
È delicata perché ha bisogno di essere coltivata, seguendone la crescita e le stagioni.
Ed è preziosa: apre alla speranza, apre al futuro.
È il futuro di chi sperimenta che la vita continua, nonostante e in barba a chi vorrebbe semplicemente distruggere; è il futuro di chi si sente responsabile e costruttore della storia e per questo si impegna positivamente per la pace; è il futuro di chi si apre all'incontro con altre comunità in nome della pace, della fraternità, della riconciliazione.

Giustamente nella Misericordiae Vultus, la bolla di indizione del Giubileo della Misericordia, Papa Francesco afferma: «Senza la testimonianza del perdono rimane solo una vita infeconda e sterile, come si vivesse in un deserto desolato [...]. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza» MV 10.

Il perdono apre al futuro!

Non è solo la nostra esperienza che lo dice: è l'insegnamento di Gesù. Basta pensare alla parabola del padre misericordioso o al dialogo di Gesù con il "buon ladrone". Non compromettiamo il nostro futuro con l'odio. Rendiamolo bello, umano con il perdono. Coltiviamo con diligenza il perdono!
A questo proposito, in occasione della commemorazione dell'eccidio, la parrocchia di Boves propone Lampade per la Pace. L'iniziativa trae ispirazione dalla spiritualità e dalla testimonianza di don Bernardi e don Ghibaudo, fa proprie le indicazioni del Papa nella Misericordiae Vultus perché la chiesa sia «un'oasi di misericordia» e vuole prendere sul serio il dramma della guerra, dell'ingiustizia, delle divisioni, che segna la vita di tante nazioni, comunità, famiglie. Concretamente propone di attingere il dono della pace dalla misericordia di Dio e di coltivarla e comunicarla attorno a noi con la preghiera e l'impegno personale.

Che ognuno di noi possa costruire un buon futuro con il perdono!

Don Bruno Mondino, parroco di San Bartolomeo in Boves (CN).

#costruiamolapace è un mini-progetto per riflettere insieme sulla pace, sul nostro diritto-dovere di costruirla, di seminarla nelle relazioni e nella vita. Ruota attorno a tre articoli, che prendono spunto dagli eventi di Boves, nel 1943, e prepara alla Giornata internazionale per la pace, che si celebra il 21 settembre di ogni anno ed è stata voluta, nel 1981, dalle Nazioni Unite.


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