Vincere la povertà si può!

Quando la misericordia cambia la storia

Cos'è la povertà? Qual è il volto della miseria? Esistono strumenti per sconfiggerla? Sono domande che segnano la vita di molti. Sono domande per le quali tutti vorrebbero risposte certe e sicure, ma non tutti le cercano e, soprattutto, non tutti ne generano di efficaci. Lui però, Joseph Wresinski, ci ha provato e alla miseria ha dichiarato, efficacemente, guerra.

Da dove viene questo prete «inclassificabile», biasimato dai confratelli e tenuto d'occhio dalla gerarchia ecclesiastica? Viene dalla miseria, quella più profonda, che mette a rischio la sopravvivenza e annulla la dignità. Ribelle alla fatalità del destino, farà della propria vita un antidestino permanente.
Il 14 luglio 1956 padre Joseph, francese di origine polacca, entra nella bidonville di Noisy-le-Grand. Sarà il suo «giorno di fuoco»: ha allora trentanove anni ed è parroco a Dhuizel, un paesino dell'Aisne, non lontano da Soissons.

Un prete strano, singolare: i suoi confratelli non si sbagliano, faticano ad abituarsi a quell'emarginato ossessionato dall'idea di ritrovare i più poveri. Un'ossessione, a quanto si dice, che ha dal giorno in cui è diventato prete. In realtà, la ha da sempre: nell'infanzia è vissuto nella miseria.
Consapevole del malessere crescente del suo parroco in seno al clero, ma anche del disagio di alcuni parrocchiani influenti («Dobbiamo sbarazzarcene...»), il vescovo, a corto di idee, gli propone di «fare un giro» al campo dei senzatetto di Noisy-le-Grand, creato dall'abbé Pierre nel 1954: «Visto che cerchi gente molto povera e non riesco a trovartene qui nell'Aisne, va' a vedere il campo di Noisy... Alcuni preti ci sono andati, ma nessuno è riuscito a restarvi». Centoventi chilometri separano Dhuizel da Noisy. Per andarvi, Joseph potrebbe prendere la sua Due Cavalli. Ed è quello che non farà. Quei chilometri li farà a piedi, da barbone, e in tre giorni.

Cercando Gesù Cristo da vagabondo

Joseph si toglie la talare e lascia la parrocchia. Da solo. Perché? Non gli basta spogliarsi della propria identità. È assetato di solitudine? O, preso dalla sua ossessione, è già alla ricerca di viandanti dell'infinito e di spiantati? Che cosa avverte?

Dove ci si reca, a piedi, con una lunga marcia, se non in pellegrinaggio: Chartres, Compostela?
Ma, lì dove si sta recando lui, niente cattedrali, nessuna reliquia, nessuna processione o coro: la cattedrale di Joseph è un campo di miseria. Le sue navate, le sue cappelle e i suoi organi, le sue colonne e le sue vetrate sono nel cuore e nello sguardo dei poverissimi che va a cercare. Vuole ritrovare Gesù Cristo da vagabondo.

Nel corso della sua peregrinazione, si imbatterà in barboni, dormirà con loro sotto le stelle, con loro vivrà di stenti, percorrendo strade e sentieri, consumando i talloni con le selci dei percorsi, attraversando boschi e fiumi, sempre in loro compagnia. Ma non si farà riconoscere: tre giorni di anonimato ineccepibile.

Quando Joseph Wresinski arriva al campo di Noisy-le-Grand, ha sofferto, provato di nuovo la fame, come da bambino: tre giorni di digiuno per risalire alle proprie radici, ritrovare la linfa delle sue prove. Talare ancora ripiegata, è un uomo nudo, sfinito dalla strada percorsa e dalla calura, che giunge al termine del suo pellegrinaggio, alla sorgente della propria infanzia: il sole è al suo zenit, Joseph allo snodo della propria esistenza.

La miseria, un giorno scomparsa, ritorna nella sua vita. I tre giorni di solitudine stanno per finire: prima di entrare nel campo si rimette la talare.
Su quei tre giorni non dirà mai nulla. Fu la sua notte di Giacobbe, il suo corpo a corpo con l'angelo. Seppellimento di una vita che muore per rinascere.
In quei tre giorni, come Giona nella balena, entrò nel seno della miseria, e il seno della miseria, una volta penetrato nel campo, avrebbe generato Joseph Wresinski, l'uomo che con fede, tenacia e con il coraggio di scelte impopolari avrebbe difeso l'onore e la dignità dei più poveri, fino ai piani ai alti del potere.

I poveri non hanno bisogno di mense

Il suo obiettivo, perseguito per una vita, sarebbe stato la liberazione interiore dell'uomo. «Alla miseria» avrebbe ribadito in più occasioni, «non si risponde con la distribuzione collettiva di zuppe o pacchi alimentari. Questo non fa altro che asservire il povero al mestolo del donatore». Il povero va liberato! Al povero vanno offerti strumenti di liberazione. Per questo la sua guerra alla miseria è stata combattuta con la creazione di scuole materne e biblioteche, laboratori di attività, lotta all'analfabetismo.

Non si tratta di limitarsi solo alla difesa dei diritti dell'uomo, dirà Wresinski, parlando delle famiglie del Quarto Mondo, movimento da lui fondato in seguito all'esperienza vissuta nella baraccopoli di Noisy. «I diritti dell'uomo invitano a una solidarietà. Invece la liberazione chiama a una fraternità. Due approcci molto diversi. La difesa dei diritti dell'uomo fa sì che alcuni uomini si mettano insieme contro qualcuno per ricevere, per ottenere. Invece una liberazione è quando alcune persone si mettono insieme per ottenere insieme una libertà che permetta loro di diventare contagiose. È una cosa completamente diversa. I diritti dell'uomo si fondano sull'amore, altrimenti sono inganno e oppressione deviata».

Nel 1987 fu proprio padre Wresinski a istituire la Giornata mondiale del rifiuto della miseria (17 ottobre), ufficialmente riconosciuta dalle Nazioni Unite nel 1992.

Georges-Paul Cuny, nato nei Vosgi nel 1936 e trasferitosi in seguito a Parigi, è scrittore e membro di Atd Quarto Mondo, il movimento fondato da padre Wresinski, di cui è stato amico personale.

 

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L'uomo che dichiarò guerra alla miseria
 

È la biografia di padre Joseph Wresinski (1917-1988). Francese di origine polacca, nato egli stesso in condizioni di estrema povertà, ha dedicato tutta la vita ai poveri.

 

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