Il 19 marzo del 1994 veniva ucciso dalla camorra Don Giuseppe Diana, giovane parroco di Casal di Principe, in provincia di Caserta.
Aveva solo trentasei anni don Peppe Diana. Aveva avuto il coraggio di opporsi, di denunciare. Lo aveva fatto con la foga della sua giovane età, esponendosi troppo. Troppo per la camorra, che non poteva accettare l’opera pastorale di quel sacerdote, capace con le sue parole e le sue azioni di smuovere le coscienze.
Don Peppe non si risparmiava mai. Ogni occasione era buona per sollecitare la presenza dello Stato, per educare i ragazzi – e non solo loro - alla legalità e alla giustizia. Troppo invadente per chi in quei territori deteneva il potere.
A lui Rosario Giuè, prete palermitano (tra i fondatori della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”), ha dedicato una bella biografia, in cui ha posto l’accento sul confronto continuo di don Peppe con il Vangelo, vero faro della sua azione pastorale contro la camorra, e sui silenzi anche della Chiesa italiana su questo prete coraggioso e scomodo.
Un anniversario, quello della morte di don Peppe Diana, che cade alla vigilia di due appuntamenti importanti: la Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie (21 marzo) e la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri (24 marzo). Giornate in cui ricordiamo e preghiamo per testimoni di fede e giustizia come don Peppe: donne e uomini che hanno saputo opporsi e testimoniare. Come scrive don Luigi Ciotti nella prefazione al libro di Giué, «quando un popolo soffre, quando una comunità è ferita, quando la dignità umana è schiacciata e messa a rischio non ci si può voltare dall’altra parte. Non ci si può chiudere in sacrestia. Occorre ascoltare l’invocazione di giustizia e farla propria. Sentirla propria».
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