Come quasi sempre accade nell’istituzione di queste Giornate internazionali, la data scelta non è casuale. Il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, furono uccise tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal, per ordine del dittatore Trujillo. Un episodio che venne ricordato, molti anni più tardi, nel primo incontro femminista latinoamericano svoltosi a Bogotà (1981), in cui si propose di istituire proprio il 25 novembre una Giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne, in memoria delle tre sorelle. Decisione poi ripresa nel 1991 dal Center for Global Leadership of Women e, infine, dall’ONU.

Nella risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999 viene precisato che, per violenza contro le donne, s’intende «qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata».

È una precisazione fondamentale perché, a livello di informazione e di coscienza comune ma anche di azione politica e istituzionale, siamo tutti troppo focalizzati su quell’atto di violenza estrema che è il femminicidio. Che è, sì, l’apice estremo di ogni forma di violenza di genere, ma di certo non l’unica.

Questa visione “limitata” è deleteria, perché non produce azioni mirate contro le vere cause della violenza. E perché, ad esempio, di fronte al dato che nel 2024 ci sono stati meno femminicidi rispetto all’anno precedente, fa pensare erroneamente – anche a livello istituzionale - che il fenomeno della violenza contro le donne sia in fase di “riduzione”.

Ecco allora perché la Giornata del 25 novembre diventa ancora più importante. Oggi più che mai, è urgente sensibilizzare e far conoscere il fenomeno nella sua complessa drammaticità, per evitare il rischio - reale come la violenza stessa - di una sua sottostima (se non addirittura negazione).