La carta della... carità

XXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Il comandamento dell’amore richiede il coraggio della correzione fraterna.

«Fratelli, pienezza della Legge è la carità» scriveva San Paolo ai cristiani di Roma. A noi oggi scrive: “pienezza della vita cristiana è la carità”. Sentiamo ripetere così spesso dichiarazioni sull’importanza della carità che possono risultare scontate e superflue. Chi non sa che qualsiasi altro comandamento si ricapitola nell’«amerai il tuo prossimo come te stesso»? Cadere nel “questa la so” è un errore grave e sciocco, perché, se fosse così scontato saperlo e tanto più praticarlo, Gesù non avrebbe fatto il suo testamento: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Purtroppo, invece che scontato e risaputo, è maltrattato quando lo si riduce all’elemosina non soltanto di soldi ma anche di buoni sentimenti, senza comprendere contenuti più importanti e difficili, come quelli che la parola di Dio ci ricorda oggi: l’amore vicendevole e la correzione fraterna.

La carità “segnaletica”

È famosissima la testimonianza di Tertulliano (scrittore cristiano. Sec. II- III d.C.), su cosa dicevano dei cristiani i suoi contemporanei: «Guardate come si amano fra loro, e come gli uni per gli altri son disposti a morire». In quel tempo, essendo i cristiani piccole comunità “in terra straniera”, l’amore vicendevole era quello che li univa e li confortava, diventando nei pagani curiosità, meraviglia, e anche conversione. Ma oggi che i cristiani vivono dispersi e mescolati dovunque e con chiunque, come possono fare dell’amore vicendevole un comportamento identitario?

Papa Francesco per l’amore vicendevole in famiglia (Udienza Generale del 13 maggio 2015), suggerisce la pratica di tre parole: «Permesso», quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere. «Grazie», per rifiutare le cattive maniere e le cattive parole. «Scusa», per evitare che piccole crepe si allarghino fino a diventare fossati profondi.
Le tre parole possono diventare un segno di riconoscimento dei cristiani in tutti gli ambienti che frequentano, se praticate tra di loro per fedeltà al Vangelo, e verso tutti come testimonianza evangelizzatrice. Per essere chiari e concisi: come possono i cristiani non salutare fuori della chiesa, per strada, o al bar, o dovunque sia, i fratelli e le sorelle che incontrano a Messa? Eppure… Come possono i cristiani spettegolare di coloro con i quali partecipano alle attività liturgiche o caritative? Eppure… I “pagani” diranno: guardate come si amano, oppure: e poi vanno a Messa?

La carità coraggiosa

Annunciato con potenza dal profeta Ezechiele - «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Se… non parli al malvagio perché desista dalla sua condotta, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te» - e ribadito da Gesù con toni più pacati ma non meno severi: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello…». Il “fra te e lui solo” non è compatibile con il parlare dietro le spalle, con il sentito dire, con le fake news, con il chiacchiericcio, del quale papa Francesco dice: «È un'arma letale che uccide l'amore, la società, la fratellanza». Per noi cristiani non può essere così. Senza la pratica leale e coraggiosa della correzione fraterna si finisce nelle maldicenze, nelle invidie, nelle gelosie, nei malumori, e perfino nell’omertà, svuotando la carità di ogni significato, e annullando le parole di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».


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