Non acini acerbi ma uva matura

XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Trarre dalla vita tutto il bene che è in grado di dare.

La «casa d’Israele, vigna del Signore degli eserciti» destinataria del profeta Isaia, riceve un messaggio in una bella forma poetica, ma con un contenuto molto duro e prosastico. Piantata sopra un fertile colle, curata con tanto amore, invece di produrre uva ha prodotto «acini acerbi», con le conseguenze di essere abbandonata e trasformata in pascolo.
Non meno severe e dure sono le parole che Gesù rivolge con la sua parabola ai «capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» che, oltre a non consegnare i frutti al padrone, cercano di impossessarsi dell’eredità del figlio, cacciandolo dalla vigna e uccidendolo.

Se la parola di Dio fosse una storia da conoscere o una lezione, potremmo finire qui: abbiamo imparato che Israele non è stato fedele all’alleanza con Dio e ne ha pagato le conseguenze che, con un pizzico di ironia, Gesù fa dichiarare ai suoi interlocutori: «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». Cosa che poi si è puntualmente verificata: la vigna del Signore è stata tolta alla Casa d’Israele e affittata al nuovo popolo di Dio, la Chiesa.

La vigna della Chiesa

La Bibbia però - non dobbiamo mai smettere di ricordarcelo - non è un libro di storia, di archeologia e nemmeno di precetti morali. È la parola del Signore che chiama alla conversione chi l’ascolta oggi, adesso, quindi la Chiesa e ciascuno di noi, con sempre l’ammonimento di dare «la vigna in affitto ad altri», se non produce uva ma acini acerbi. Con altre parole: se la Chiesa non vive in perenne conversione, producendo il bene per il quale il Signore l’ha piantata, non è fedele alla consegna del Signore. Per rispondere a questa esigenza, papa Francesco non finisce di esortare, di stimolare, di proporre, di prendere iniziative. A questo serve anche il Sinodo Mondiale dei Vescovi, aperto il 4 ottobre, festa di san Francesco, in Piazza San Pietro, con la presenza per la prima volta di donne con diritto di voto. Al cammino di “conversione” della Chiesa, vigna del Signore, tutti i cristiani sono chiamati a partecipare, come possono, magari soltanto con la preghiera.
C’è però una vigna affidata a ciascuno di noi, della quale ognuno ha responsabilità di prendersi cura per non farla inselvatichire e ridurla a produrre soltanto acini acerbi. Questa vigna è la nostra vita.

La vigna della vita

Come ai contadini della parabola, il Signore ci ha affidato con amore e fiducia la «sua vigna», la vita, un dono unico e prezioso, curato con affetto, piantata «sopra un fertile colle. Dissodata e sgombrata dai sassi. Con viti pregiate; con in mezzo una torre e anche un tino». La risposta al suo dono è trarre da essa tutto il buono, il vero, il bello che è in grado di produrre.
Questo compito non è troppo arduo per noi? La preoccupazione costante di produrre l’uva buona non ci farebbe vivere con ansia e con stress? Non riuscire a fare cose straordinarie come quelle dei santi - vedi Francesco di Assisi - non ci colpevolizzerebbe, non ci porterebbe a trascurare gli umili ma necessari impegni quotidiani? No.
Curare la vigna che il Signore ci ha messo nelle mani vuol dire rendere straordinarie le occupazioni e gli impegni di ogni giorno con il programma di San Paolo: avere come oggetto dei nostri pensieri «quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode». L’Apostolo non indica il cosa, ma il come. I rapporti interpersonali, familiari, sociali, di lavoro, di amicizia, di tempo libero, di relazioni… possono essere vissuti in modo vero o falso, nobile o indecoroso, giusto o ingiusto, puro o infido, amabile o arrogante, onorato o volgare, virtuoso e lodevole oppure banale e disdicevole. Scegliere di vivere «con gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5) produce uva buona e rende straordinario l’ordinario.


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