Pregare per la pace è costruirla

XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

La preghiera è come la fionda di David contro la corazza di Golia.

Tutte le volte che sentiamo proclamare i due comandamenti: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» e «Amerai il tuo prossimo come te stesso», dai quali dipendono tutta la Legge e i Profeti, cioè tutto quello che Dio vuole da noi, si può essere tentati da un insidioso senso di scoraggiamento e di scetticismo. Vorremmo infatti vederli portare il mondo verso tempi migliori. Invece niente! La cronaca impietosa ci mette davanti agli occhi una realtà sempre più minacciosa. In questi anni addirittura sembrano arrivate le piaghe d’Egitto: Covid, disastri naturali sconvolgenti, una guerra tra popoli europei che si pensava impossibile, essendo ancora vivi i superstiti con le sofferenze delle atrocità e delle distruzioni dell’ultima. Ci mancava lo strazio di vedere nella terra di Gesù, che dovrebbe essere la sorgente della pace, una vampata di odio che potrebbe portare alla catastrofe.

Perché questo contrasto?

Quasi quasi viene la tentazione di passare a comandamenti più efficaci e realistici di quelli di Dio: “Gli dei sono tanti e ognuno si sceglie quelli che fanno comodo”, e “ama soltanto te stesso e gli altri si arrangino”. Ma non è il caso, perché i mali che ci affliggono derivano proprio dalla sequela di questi comandamenti alternativi. Che fare allora? La strada è allargare l’accoglienza a quelli di Dio, combattendo «la buona battaglia della fede» (1 Tim 6,12), con impegno costante, sorretto dalla sicura speranza che il bene vincerà sul male. Una devota illusione, dal momento che non abbiamo armi adeguate per combattere questa buona battaglia contro le potenti forze del male che producono scelte scellerate come le guerre, il terrorismo, l’oppressione, la corruzione? No, non è vero che siamo disarmati. Le armi le abbiamo. Papa Francesco le ha indicate: la convinzione («Tacciano le armi, la guerra cancella il futuro»; «la guerra non risolve nulla, aumenta solo l'odio»); l’impegno («Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte, quella della pace, con dedizione totale»); la preghiera («non a parole, ma con la preghiera»). (Udienza del 18/10/2023).

Con la preghiera?

Ma cosa può la preghiera contro la potenza delle armi? Se pregare significa chiedere a Dio di risolvere le situazioni e i disastri che noi creiamo, non serve. Se invece è - come deve essere – la richiesta costante e insistente che tutti i suoi figli amino Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, allora essa diventa la fionda di David contro il gigante Golia. Non sappiamo né come, né quando, né con chi, ma sicuramente la pietra colpirà e abbatterà l’arroganza, la prepotenza, il disprezzo degli altri, la sete di potere… che producono le guerre, a cominciare da quelle dentro di noi e nel nostro quotidiano.

La dedizione totale

La preghiera vuol dire mettere la pace nelle mani di Dio, prestando le nostre con dedizione totale (con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente) al secondo comandamento: «amerai il tuo prossimo come te stesso», senza il quale l’amore a Dio diventa vuoto e inefficace. Per questo è fortissima la severità di Dio nel richiedere l’amore al prossimo: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai… Non maltratterai la vedova o l’orfano... Se tu presti denaro all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio… Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole». Altrimenti quando grideranno verso di me io li ascolterò.

Credere la pace

Pregare per la pace e dedicarsi a costruirla non serve, se non crediamo fermamente che essa arriverà. Anzi che in qualche modo arriva sempre.
In questi giorni tra scene di crudeltà incredibili, abbiamo visto un ostaggio, un’anziana e gracile donna, Yocheved Lifschitz, rapita e portata via legata su una moto da due terroristi, nel momento di essere liberata, dopo aver “passato l’inferno” e con il marito ancora nelle mani di Hamas, dare la mano al terrorista armato di mitra e dirgli: “Shalom” (pace). Non è un segno di speranza?


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