Tutti alla nostra porta

V Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

La carità non rattoppa ma ricostruisce.

Con la brevità e l’efficacia che lo caratterizzano, l’evangelista Marco descrive un sabato (una nostra domenica!) di Gesù. Dopo l’inizio impegnativo nella sinagoga, dove aveva destato grande stupore per il suo insegnamento fatto «con autorità», e per la «liberazione di un uomo posseduto da uno spirito impuro», si reca a pranzo a casa di Pietro, dove trova la suocera in preda alla febbre. Gesù le si accosta, la fa alzare prendendola per mano, così che lei possa servirli, svolgendo i compiti dell’ospitalità che la donna aveva nel giorno di sabato. Questo miracolo potrebbe essere sorvolato, perché la donna non soffriva di una malattia invalidante o inguaribile, ma di febbre alta, un malessere comunissimo. Perché guarire lei, mentre chissà quanta gente nel mondo in quello stesso momento implorava Dio senza avere risposta?
Sarebbe sbagliato pensare così. I gesti dell’avvicinarsi, del prendere per mano, del poter far tornare a servire rivelano lo stile e la finalità della carità che Gesù esercita e che propone a noi, cioè quella che non si esaurisce nei gesti buoni, che lasciano chi la riceve così come è, ma che risolve i problemi e cambia le condizioni di chi ne ha bisogno. Papa Francesco nella lettera enciclica Fratelli tutti, la definisce sociale e politica e la raccomanda: «È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica» (186). La nostra carità, per quanto piccola e modesta, deve comunque avere queste caratteristiche.

Tutta la città davanti alla porta

Terminato il riposo del sabato con il tramonto del sole, «gli portavano tutti i malati e gli indemoniati». Sembra che gli abitanti di Cafarnao stessero aspettando la fine del riposo sabbatico per correre da Gesù. «Tutta la città era riunita davanti alla porta», annota l’evangelista. È un’immagine bellissima per un messaggio fondamentale: quella porta è la nostra vita. Davanti a essa non c’è soltanto tutta la città ma il mondo, perché in ogni persona che ha bisogno di essere accostata, sollevata, e riportata alla capacità di servire c’è il mondo. Non bisogna richiudere quella porta, ma uscire per guarire «molte malattie e infermità» fisiche, spirituali, di ogni tipo con la sua finalità e il suo stile: accostando, prendendo per mano, riportando alla condizione di poter “servire”.
Al solo pensarlo questo impegno spaventa. Giustamente! Gesù, però, non ci chiedere di essere lui, ma di seguirlo secondo le necessità e le nostre capacità. Egli ha preso per mano la dodicenne riportata alla vita (Mt 9,25); il cieco che resisteva al suo intervento (Mc 8,23); il fanciullo epilettico (Mc 9,27), il malato di idropisia (Lc 14,4), Pietro che lo invocava di non lasciarlo annegare (Mt 14, 21) … Anche davanti alla nostra porta sono tante le malattie, le infermità, i demoni da guarire, sanare, scacciare con le nostre forze.

Perché non tutti?

Davanti alla porta di Pietro, Gesù guarì - come faceva anche con lebbrosi, ciechi, storpi - molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni. Perché molti e non tutti? Gli evangelisti raccontano che «là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc 6,56). E nei luoghi dove egli non giungeva? E quelli che non riuscivano a toccarlo? La risposta la dà Gesù: non è lui a fare i miracoli ma la fede in lui. «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!», dice Gesù alla peccatrice (7,50); «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!», al lebbroso; «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato», al cieco (Lc 18,42). Esemplare è il caso della donna che aveva perdite di sangue. La folla «lo stringe da ogni parte e lo schiaccia», ma soltanto la poverina che lo sfiora è guarita; e anche a lei: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace!» (Lc 8,48). Cosa ha fatto a differenza degli altri? Soltanto Gesù che «conosce i pensieri del cuore» lo sapeva. Sul lago, definì Pietro: «uomo di poca fede» perché aveva dubitato (Mt 14,21). Che Gesù abbia letto nei pensieri del suo cuore che lei era l’unica persona che si era completamente affidata? Deve essere proprio così. Anche oggi è così. Quando avvengono fatti prodigiosi chi li riceve e chi li vede non possono fare altro che domandarsi: “Perché proprio a me?”, “Perché proprio a lui”. Soltanto Lui lo sa.


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