Vivere i sentimenti di Gesù

XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Nella fede i no portano sempre a sì più grandi.

Domenica scorsa, con la voce di Ezechiele, il Signore rivendicava la diversità dei suoi pensieri e delle sue vie dai nostri. In questa domenica, con lo stesso profeta, dichiara il contrasto tra il suo e il nostro modo di giudicare le persone. Per noi, chi ha sbagliato, pentimento o no, deve pagare, e non vale che si ravveda e si penta. Per il Signore invece la misericordia è sempre aperta, anche al pentimento in extremis.
Questa verità è consolante, perché ci assicura che Dio non scheda nessuno con etichette incancellabili. Davanti a lui siamo sempre nuovi e, certi di essere ascoltati e di trovare accoglienza, possiamo pregarlo con il salmista: «I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore». «Ricordati di me!». Di me. Non di quello che ho fatto, che volevo fare, che avevo promesso di fare. Di me, come sono adesso davanti a te, anche se non ero mai stato così. Egli ci offre sempre la possibilità di convertici dal figlio che alla richiesta: “Va’ a lavorare nella vigna”, promette: “Sì, signore”, ma non ci va, a quello che risponde: “Non ne ho voglia”, ma poi si pente e ci va.

Convertirsi è un più

Gesù racconta la parabola della vigna e dei due figli «ai capi del popolo e ai sacerdoti» che distribuivano la patente di peccatori e pubblicani a coloro che non rispettavano le loro norme, per niente inclini a pensare che essi potessero essere accolti da Dio nei posti a loro riservati, come predicava e faceva quel «mangione e beone» di Nazaret, che cercava di dissuaderli, contrastandoli e sbeffeggiandoli: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio». Ma niente da fare. Il pentimento e la conversione non erano per loro, che non avevano niente di cui pentirsi e da farsi perdonare.

Noi, ovviamente, siamo d’accordo con Dio che perdona e Gesù che accoglie, ma dobbiamo esse attenti alla tentazione farisaica sempre in agguato, che si manifesta quando accogliamo gli appelli alla conversione e a chiedere perdono (come all’inizio della Messa) come parole tanto per dire. Perché, che si debbano convertire i malvagi: i mafiosi, gli usurai, gli spacciatori…, va bene, ma noi che, per grazia di Dio, peccati gravi non li commettiamo, e che nella vigna del Signore abbiamo accettato di entrare, da che cosa dobbiamo convertirci? Ragionare così equivale a dire: “Si, signore!”, ma fare come se avessimo detto di no.
La vita cristiana non è rinunciare ai “grossi” peccati e poi andare avanti tranquilli, con qualche “rinfrescatina” (cioè la confessione) ogni tanto per ammettere un po’ sconsolati: “Padre che le devo dire? Sono sempre le stesse cose”.

Il Signore non chiede mai di fare una rinuncia se essa non porta a un bene maggiore. Cos’è il bene maggiore? Lasciamolo dire a San Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù». Quali sono i sentimenti di Gesù? L’apostolo non li enumera, ma li fa emergere dalla sua scelta: «pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».
«Svuotò se stesso», «umiliò se stesso». Questi due verbi non invitano a una vita cristiana svuotata di umanità, e ammantata di falsa umiltà che la rendono incolore, umbratile, non impegnata a mettere a frutto le proprie capacità e potenzialità; incline a mettersi da parte, a starsene buona, a estraniarsi dalle vicende di questo mondo. Gesù, incarnandosi, si è “svuotato e umiliato” per insegnarci e per testimoniarci come vivere in pienezza la nostra umanità.

La fede in Gesù è affrontare la vita con i suoi «sentimenti di amore e di compassione, con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi», rinunciando a quelli che li contrastano.
Portare Gesù nella testa, accettando la sua verità, ma con nel cuore e nei nostri sentimenti significa cadere nella scelta che ci viene spontanea e facile, quella del né caldo né freddo: accettare di andare nella vigna, ma stare lì senza fare niente.


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