Dalla memoria la pace

Storie possibili, da vivere

Sono, ogni giorno, sotto i nostri occhi. Sono storie di violenza e sopraffazione, odio e discriminazione. E poi ci sono altre storie, spesso invisibili o volontariamente taciute perché scomode. Di queste vogliamo parlare, queste storie vogliamo ricordare!

Perché è dal ricordo, dalla memoria che possiamo iniziare a costruire ponti che raggiungano il futuro costruendolo. Possiamo chiederci ogni giorno se di quel futuro vogliamo essere figli fortunati (o sfortunati) o padri e madri attenti e solleciti... perché il futuro non verrà da sé, come caduto dal cielo, ma sarà frutto di scelte e culture, di semine e raccolti, fatte oggi e preparate ieri.

La storia che mi piace raccontare è una di quelle storie di cui molti si dicono stufi, perché apre il suo sipario su una delle più oscure pagine della nostra storia, generata dalla follia di schegge di umanità impazzita e dai silenzi assordanti di coscienze assopite. Pagine che spesso preferiamo non leggere. Siamo a Boves, una cittadina in provincia di Cuneo. E, seppur tutto inizia ad accadere in una lontana domenica del 1943, quello che vorrei ricordassimo è una storia ancora in atto, iniziata da un semplice ma sorprendente gesto e mai conclusa.

Dalla violenza al perdono

A Boves, il 19 settembre del 1943, ad appena dieci giorni dall'armistizio, i tedeschi compiono la prima rappresaglia su territorio italiano. A cercare una mediazione con i nazisti delle SS, un parroco, uno di quei pastori semplici e, direbbe papa Francesco, con la puzza delle pecore addosso, che conosce ognuno per nome e che sa di non poter abbandonare, mai, costi quel che costi. Da lui, che con il suo viceparroco, e altre 24 persone, sarà ucciso, si accende una miccia che oltre 70 anni di storia non riescono ancora a spegnere. Poche ore prima di essere ucciso, quando tutto faceva presagire pericoli imminenti, don Giuseppe, ostaggio delle SS, benedice non solo il paese in fase di distruzione e ogni singolo abitante in fuga per la vita, o ferito o ucciso, ma anche un giovane soldato tedesco, ucciso nella stessa mattina, dai partigiani. «Quell'atto di pietà» scrive Chiara Genisio «è il primo segno di perdono evidente in quella giornata votata alla violenza e al dolore. Inizia da lì, da quel gesto così naturale per don Giuseppe Bernardi, il processo di riconciliazione». Così Boves città in cui per prima si scatenò la violenza tedesca, è diventata la prima città in cui si è sviluppata la «Scuola di pace». Scuola... e non ci sembri una forzatura. Perché la pace va imparata, insegnata, comunicata, coltivata, allenata.

La memoria, custodita e tramandata, di quel gesto di benedizione, come unica e rivoluzionaria risposta alla barbara violenza omicida, è stato ciò che ha permesso, nel 2014, a una delegazione della comunità parrocchiale di Boves di partire per andare a Schondorf, città in cui è sepolto Joachim Peiper, maggiore delle SS, che ordinò la drammatica rappresaglia. Il loro andare è stato pellegrinaggio di riconciliazione, testimonianza e frutto amabile di un lungo cammino segnato non da vendetta o rivendicazioni, ma da voglia di pace e solidarietà per tutta la comunità umana.

È vero, la pace, che affonda radici profonde nel terreno della memoria, non ha soluzioni facili e a basso costo, rapide e indolore. Ma tantomeno questo si può dire di missili, embarghi e di guerreggianti missioni di pace. E in fondo, le strategie del terrore, Isis, Al Qaida, Boko Haram, il terrorismo in genere di quelle logiche sono figlie naturali anche se illegittime.

E allora perché non svoltare?!

Perché se l'odio continua a consegnarci un mondo grondante di sangue, non scegliere il perdono? Perché se la vendetta insegna ai nostri figli a odiare, non scegliere la riconciliazione? Perché se le guerre moltiplicano la morte, non scegliere la pace?

«Le mani alzate e benedicenti del parroco di Boves, don Giuseppe, e del suo ventitreenne viceparroco, don Mario, il loro eroico sacrificio, parlano di riconciliazione, di perdono, di speranza. Fino a quando c'è qualcuno che risponde al male con il bene, che semina gratuitamente bontà, che paga di persona, siamo autorizzati a guardare con fiducia a un futuro migliore».

La storia di Don Giuseppe, don Mario e della «Scuola di Pace» è raccontata da Chiara Genisio in Martiri per amore. L'eccidio nazista di Boves (Paoline 2015).


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