Più forte della morte

Cronaca di un martirio

19 settembre 1943. Prima rappresaglia nazista su territorio italiano, dopo l'armistizio. Oggi vogliamo raccontarla perché quel giorno, dal quel crimine contro una porzione di umanità è germogliato un preziosissimo seme di pace e riconciliazione. La cronaca di quel giorno raccontato dalla penna di una giornalista può diventare faro luminoso in queste contemporanee tempeste.

Joachim Peiper arriva in Italia, alla guida del 3° Battaglione del 2° Reggimento Granatieri Corazzati della Divisione Leibstandarte-SS Adolf Hitler. Il suo obiettivo è annientare i ribelli. A qualunque costo. Con l'arroganza degli occupanti, si insedia nel municipio di Boves, a pochi chilometri da Cuneo. Sguardo sicuro, camminata decisa, scorre con gli occhi i giovani, gli anziani davanti a lui. Parole dirette, tradotte in italiano. I termini sono chiari: i ribelli si devono arrendere. In caso contrario, Boves brucerà.

È giovedì mattina. 16 settembre 1943

In quelle ore le parole corrono veloci. Il paese a poco a poco si svuota. Sui carretti si caricano i beni più preziosi, un materasso, la macchina per cucire, i pochi oggetti di valore salvati negli anni di guerra, si mettono al sicuro gli animali. Ricchi e poveri insieme, quando si fugge non ci sono differenze. Alle spalle la casa colma di ricordi, di vita vissuta. Le fotografie, gli oggetti di uso quotidiano che si teme di non vedere più. Tutto improvvisamente sembra indispensabile. Eppure non si può scappare con pesanti bagagli.

Ma la minaccia è seria. E non si può indugiare.

In paese da poco è cambiata l'autorità civile. Il podestà era stato allontanato, ma non ancora stato sostituito. Così don Giuseppe Bernardi, il parroco, si ritrova a essere l'autorità locale più importante. Tocca a lui portare il messaggio intimidatorio di Peiper agli uomini sulle montagne [i partigiani]. Dentro di sé avverte tutta la tragicità di quei momenti. Sono anni che prega e invita a pregare sperando di scongiurare altra violenza. Più volte, lungo il tragitto, confida a don Michele [un confratello che lo accompagna]: «Iddio accetti la mia vita, la dono volentieri, ma risparmi tutti i miei cari figli spirituali». Ancora prima di incontrare i partigiani sa già che non si consegneranno ai tedeschi, e neppure lo desidera.

Pensa e prega solo di trovare una soluzione per non mettere in pericolo la vita di tanti, troppi uomini, donne e bambini innocenti, e le loro case. Al suo rientro in paese, ormai quasi svuotato, conferma che nessuno si arrenderà.

Domenica 19 settembre 1943, ore 16.00

Il cielo è grigio, si respira aria di pioggia. L'obiettivo si posa su piazza Italia, cuore del paese. A un passo dal monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, il parroco don Giuseppe Bernardi attende. Pallido in volto, la tonaca consunta, porta i segni della trasferta sui monti come negoziatore. Ora è lui in ostaggio delle SS, con le loro divise estive. Attraversano la piazza giovani ragazze, sfuggite al divieto di rimanere in casa. Ma anche alcuni bovesani inquieti per come si sta evolvendo la giornata.

Don Bernardi scruta, per ciascuno ha una parola di conforto, una mano si alza a benedire, nell'altra sgrana il rosario. Forse il suo sguardo cade sulla scritta del monumento su cui sono incisi i nomi di tutti gli abitanti morti durante la Grande Guerra e sull'epigrafe: «Agli eroi bovesani caduti per dare alla Patria i giusti confini, auspicando alla pace universale, Municipio e Popolo, 28 agosto 1921». E il pensiero gli sarà corso al ricordo delle sue giornate in guerra, e al suo desiderio di pace per tutti.
Ma a distrarlo giunge don Mario Ghibaudo, il suo vice, anche lui teso, bianco in volto. È arrivato a Boves solo da due mesi, fresco di ordinazione, giovanissimo – ha ventitré anni –, ma già tra i due preti è nata una forte intesa.

In silenzio gli porge uno scodellino di caffè caldo. Don Giuseppe lo sorseggia, poi, restituendolo, chiede a don Mario di dargli l'assoluzione. Il giovane sacerdote, impietrito, procede, mentre il suo parroco afferma: «Salgo al Calvario: arrivederci in paradiso».

Al calar del sole... sorge!

L'obiettivo si chiude. I due preti si salutano. Prima del calar del sole entrambi saranno morti. Avranno donato la loro vita per salvare il paese e tutti gli abitanti. Avrebbero potuto «allontanare questo calice amaro», ma hanno scelto di sacrificare la loro vita per un bene più grande. Un dono incalcolabile per questa terra cuneese, cuore della provincia «Granda» del Piemonte, palcoscenico della prima rappresaglia nazista in Italia.Là dove poteva scaturire l'odio, il rancore, è nato il perdono. I loro gesti hanno lasciato un segno indelebile. 

Boves, città e luogo di pace. Anche grazie a loro, al loro sacrificio.
Nessuna macchina fotografica o cinepresa ha documentato questa scena, non siamo ancora all'epoca degli smartphone e dei selfie, ma tanti occhi l'hanno impressa nella memoria di decine di testimoni che non hanno dimenticato. A distanza di decenni sono stati in grado di raccontare nei minimi dettagli, minuto dopo minuto, lo scorrere di questa interminabile giornata. Una manciata di ore che ha trasformato la loro vita, la loro comunità. Raccontano una storia di uomini, di preti, che hanno saputo andare oltre se stessi, per un amore più grande. Per rimanere fedeli alla loro promessa. Al loro impegno assunto davanti a Dio. Un esempio per tutti. Proviamo a riviverla con il loro ricordo. Per non dimenticare, per imparare ad affrontare e superare le difficoltà, la barbarie, i momenti bui che possiamo incontrare nella nostra vita. Per trovare il coraggio di non guardare da un'altra parte, ma diventare protagonisti del bene.

#costruiamolapace! È chiesto a noi, come a loro, come a ogni uomo e donna sulla terra. Ognuno può scegliere di farlo, in ogni situazione di vita, qualsiasi impronta abbia lasciato il passato.

 

Chiara Genisio. Torinese, giornalista, è direttore dell'Agenzia Giornali Diocesani del Piemonte. Collaboratrice del quotidiano Avvenire, con Paoline ha pubblicato nel 2004: Un prete ribelle. La storia di padre Carmelo di Giovanni.

#costruiamolapace è un mini-progetto per riflettere insieme sulla pace, sul nostro diritto-dovere di costruirla, di seminarla nelle relazioni e nella vita. Ruota attorno a tre articoli, che prendono spunto dagli eventi di Boves, nel 1943, e prepara alla Giornata internazionale per la pace, che si celebra il 21 settembre di ogni anno ed è stata voluta, nel 1981, dalle Nazioni Unite.


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