Che cos'è l'albinismo?

Guida alla lettura del libro “Pallido come un vampiro”

Pubblicare questa guida alla lettura del libro "Pallido come un vampiro" (per bambini dai sette anni) nasce su richiesta dell’associazione Albinit APS, che si occupa di promuovere e favorire l’inclusione delle persone con albinismo. I membri dell’associazione hanno voluto corredare la storia con un commento rivolto a genitori e insegnanti per accompagnare i bambini nella lettura del testo. L’obiettivo: conoscere per crescere nell’inclusione.

La storia di Milo, il protagonista del libro, e del suo incontro con Edo, è una storia appunto. Una storia che può diventare punto di partenza per un confronto tra bambini e adulti, uno spunto alla lettura e alla riflessione sul tema della diversità.
La lettura accompagnata da un adulto è uno strumento prezioso per aiutare i più piccoli a crescere e sviluppare una mente critica. La crescita interiore può avvenire non solo prendendo a modello dei comportamenti virtuosi, ma anche per presa di distanza dal comportamento di uno dei personaggi, creando uno spazio di riflessione che permetta a chi legge di fermarsi ed entrare in contatto con le proprie emozioni, ragionare e valutare.
Consapevoli di questo si è ritenuto opportuno fornire alcuni input per far emergere aspetti da non sottovalutare nella lettura, per accompagnare i giovani lettori a comprendere dinamiche relative all’inclusione delle diversità e all’albinismo. Inoltre si offre una scheda di approfondimento scientifico sull’albinismo, utile per crescere in conoscenza e consapevolezza.

Pallido come un vampiro fornisce una dimensione un po’ ridotta ma realistica di coloro che sono albini. Come in questa storia, le persone con albinismo possono vivere una condizione di fragilità, non solo per le caratteristiche fisiche di questa particolarità genetica, ma anche perché essa è da subito evidente anche agli altri e può effettivamente esporre alla stigmatizzazione.
Nonostante questo, ci sembra particolarmente interessante che il protagonista della storia decida di fare qualcosa di questa sua peculiarità, rifiutando la posizione di vittima passiva dello stigma. Malgrado la giovane età, Milo non vive l’essere albino come un difetto che lo rende più debole rispetto agli altri, ma accetta sé stesso per quello che è, riuscendo a smarcarsi dall’essere bersagliato dai compagni di classe. Non soffre della propria condizione ed è invece pronto a rispondere alle sollecitazioni che vengono dagli altri.
Se è vero che lo stigma è imposto dall’esterno sta anche alla persona non farlo proprio, evitando di assorbire questo discorso fino a farlo diventare parte del proprio modo di essere o tale da condizionare i propri comportamenti.
Il percorso che Milo fa nella storia avrà delle conseguenze decisamente inaspettate, e lui dovrà tornare sui propri passi e rivedere qualcosa della propria posizione per riuscire a prendere posto nel gruppo di pari, evitando ulteriori conflitti.

Tutti uguali?

Il tema delle diversità poi richiama quello dell'equità. L’equità non ha a che fare con l’essere trattati in maniera migliore rispetto agli altri, quanto piuttosto con l’essere messi in condizione di partire dallo stesso punto.
La maestra di questa storia, in quanto adulto, non avrebbe dovuto avere un atteggiamento eccessivamente protettivo, ma equo sì! Avrebbe dovuto cioè fornire gli strumenti giusti per far sì che chi ha delle caratteristiche particolari possa avere le stesse opportunità degli altri di partecipare alle attività. In questo modo è possibile rispettare le fragilità e le diversità di tutti. Come spesso accade, anche in questo racconto le cose non vanno esattamente come si auspicherebbe, e proprio per questo potrebbe essere utile porsi alcune domande e riflettere su cosa effettivamente non abbia funzionato e cosa si sarebbe potuto fare di diverso.
Il racconto parla ai bambini e agli adulti, e il significato sotteso alle sue pagine è di forte attualità. La trama si svolge avendo come soli protagonisti i bambini, con qualche apparizione della figura della maestra. Se ne può dedurre una riflessione sull’attuale condizione dell’infanzia.
Se è vero che nell’attualità si è istituita l’infanzia come fase specifica della vita umana, con il fiorire di teorie e pensieri che la riguardano e con le garanzie che mirano a tutelare i diritti dei minori, è anche vero che negli ultimi anni si è via via assistito a una richiesta sempre crescente di “tagliare le tappe” chiedendo ai bambini di crescere in fretta; spesso estremizzando il concetto di autonomia. Il rischio è quello di mettere in secondo piano, e di fatto far mancare, la figura e il ruolo dell’adulto come riferimento e accompagnatore verso la crescita del bambino.
La questione, a nostro avviso, non è tanto il comportamento dei bambini, quanto quello che gli adulti forniscono loro per affrontare la vita e le sue sfide, il modo cioè in cui si fanno presenti.
Nel racconto le figure degli adulti sono molto sullo sfondo, come se il loro mondo e quello dei bambini fossero separati, come se fossero due dimensioni distinte che fanno fatica a comunicare tra loro. In assenza di una figura che si impegni nell’avvicinare sapientemente i bambini alla realtà dell’albinismo, saltano alcuni passaggi fondamentali e i bambini rimangono preda dei loro pregiudizi e delle loro paure. È ciò che avviene a causa della figura deficitaria della maestra, come mostra bene il racconto.

Parole giuste al posto giusto

La maestra riduce la questione per lo più alla presenza di una “malattia” (già di per sé discutibile) evitando poi di delinearne meglio il quadro e non fornendo i giusti riferimenti che permetterebbero la comprensione e la conseguente costruzione di relazioni serene tra i bambini.
Non basta infatti dire delle parole, bisogna che funzionino, che aiutino nella costruzione del senso. È necessario inoltre tenere in considerazione i destinatari delle proprie parole e la loro effettiva capacità di comprensione, prestando quindi molta attenzione al messaggio che viene veicolato e a come viene recepito.
Nello specifico della storia, fermandosi al solo concetto di «malattia» l’insegnante di fatto etichetta il bambino senza entrare nei termini della questione e senza nemmeno rendersi conto delle conseguenze del proprio dire.
La mediazione dello sguardo dell’adulto invece è importante, soprattutto quando supponiamo che un evento possa toccare la sensibilità dei bambini e provocare un vacillamento della visione ancora non completa del mondo che li circonda. Questo può accadere quando si entra in contatto con una persona con disabilità o con alcune sue condizioni e caratteristiche che richiamano fortemente al concetto di diversità.
I bambini hanno molteplici risorse e meno preconcetti degli adulti per incontrare e fare i conti con ciò che non è solito e usuale, ma è preferibile non far mancare un accompagnamento, uno spazio di evoluzione, riflessione e crescita. Molto spesso avviene che gli adulti abdichino o non siano pronti a questo ruolo così importante, perché essi stessi hanno delle difficoltà con la diversità; l’incontro con quella che può essere una fragilità altrui richiama imprescindibilmente la propria, spesso nascosta sotto il tappeto. A volte gli adulti, e questa storia ne può essere un esempio, rimangono un passo indietro o si danno proprio alla macchia quando si tratta di garantire la propria presenza e aiutare i bambini a trovare delle risposte alle loro interrogazioni.
Per fare questo è necessario che gli adulti stessi si siano interrogati su queste tematiche prima di agire. È fondamentale che ci sia già stato uno spazio di riflessione personale, altrimenti il rischio è che essi stessi incappino nei propri pregiudizi e che il comportamento dei bambini si plasmi su di essi. In realtà sono gli adulti che fanno fatica ad accettare l’estraneità, e questo condiziona il comportamento dei bambini.

Perché agire da bullo

In ultimo bisognerebbe chiedersi anche perché un determinato bambino (in questo caso Edo) sia così tanto sollecitato da una situazione. Come nei casi di bullismo, può essere utile oltre che occuparsi della vittima, anche chiedersi il perché della violenza e volgere lo sguardo sul bullo e sulle dinamiche relazionali che riguardano questa figura. Troppo spesso si ha uno sguardo limitato sulle relazioni che nascono tra bambini e si tende a prendere in considerazione solo il punto di vista di uno degli attori in campo, solitamente la vittima, sottovalutando gli altri.
Sarebbe certamente riduttivo considerare soltanto ciò che accade tra i bambini; bisognerebbe invece considerare anche gli adulti di riferimento, anche se assenti. In primis i genitori, le prime figure fondamentali tramite cui i bambini imparano a relazionarsi con il mondo, poi altre figure come gli insegnanti.

E gli adulti?

Altro fattore da considerare per quanto riguarda la scuola è l’istituzione stessa che fa da sfondo; soprattutto analizzando i suoi meccanismi e il rapporto con l’autorità, senza dimenticare le dinamiche di gruppo.
Per comprendere l’importanza della presenza degli adulti possiamo fare riferimento a quanto esperito da un noto psicoanalista, Elvio Fachinelli (1928-1989), con la fondazione dell’asilo sperimentale autogestito di Porta Ticinese a Milano. Notò, infatti, che in assenza di figure adulte autorevoli nel gruppo dei bambini tendevano ad emergere e a imporsi quelli più aggressivi su quelli più dimessi, come in una sorta di “legge della jungla”. Questa tendenza veniva immediatamente disinnescata dall’entrare in scena di una figura adulta autorevole (non certo autoritaria).
A livello sociale e civile l’importanza della presenza adulta in alcune fasi di crescita e della costruzione di relazioni si può intendere come una sorta di testimonianza, quasi un passaggio di testimone tra generazioni, trasmettendo pratiche necessarie alla convivenza civile, cercando di esserci fino al momento dell’autonomia.

Vedi anche l'articolo: Conoscere l'albinismo.

 


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