Dov'è finita quella lingua che tutti capivano come fosse la lingua nativa? È sempre a disposizione, se la parliamo non con le parole ma con i fatti.
Gesù, lasciando la terra, ha consegnato a noi il compito non soltanto di vivere il suo Vangelo, ma di predicarlo e farlo conoscere con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.
Il comandamento di Gesù non ha niente a che vedere con un generico "vogliamoci bene" e con un buonismo inefficace e deresponsabilizzante.
La fede in Gesù non è limitarsi a dedicare spazi alla preghiera, ai sacramenti e a qualche opera buona, ma cercare di vivere umilmente come lui è vissuto.
L'immagine del buon pastore ha sempre incantato i cristiani e non solo. In effetti è consolante e rassicurante. Essa però non è per la poesia. È la chiamata a una vita che sia dono per gli altri.
La fede cristiana non può limitarsi a preghiere, riti e opere buone per conquistare il paradiso. Deve essere testimonianza che Gesù risorto è in mezzo a noi con una vita "altra" che stimoli a riflettere e cambiare.
La Chiesa descritta dagli Atti degli Apostoli affascina. Ma se non la si può copiare la si può, però, far rivivere con una fede che trasformi la vita in profonda conoscenza e amicizia con Gesù.
Le "cose di lassù" che i cristiani devono cercare non sono nelle nuvole, ma dentro alla realtà, occultate dall'oscurità del male. Vanno cercate, portate alla luce e testimoniate.
Chi può aggiungere parole che non risultino fastidiose al racconto della Passione del Signore? Quindi, non un commento, ma uno stimolo ad accoglierla come verifica della propria fede.
La conversione ci chiede una fede più matura e più decisa per seguire Gesù, anche e soprattutto nei momenti del "chicco di grano" da far morire nel terreno e delle "forti grida e lacrime".
L'insoddisfazione che ci accompagna sempre - le cose non ci soddisfano mai del tutto - ci ricorda che siamo in esilio. La nostra patria è nei cieli, e vivere nel modo giusto è vivere partendo.
I no che la fede chiede non sono privazioni, ma scelte per raggiungere beni più grandi. Per una fede gioiosa è necessario essere convinti che i no di Dio sono un bene più grande dei sì degli uomini.
La prova che Dio ci chiede, in questa seconda domenica di Quaresima, non è quella di sacrificargli la vita e ciò che abbiamo di più caro, ma di compiere le nostre scelte fidandoci della sua parola... anche quando sembra contraria alla nostra gioia.
La Quaresima non è sottoporci a penitenze, a dei "no" che ci rattristano, ma un allenamento più deciso per raggiungere dei "sì" che aumentano la nostra armonia con Dio, con il creato, con noi stessi.
Il lebbroso che Gesù reinserisce nel consesso umano è un messaggio attualissimo per noi, tentati in maniera così arrogante e furbesca dalla cultura dello scarto.