Vivere la vita come vocazione significa accogliere l'invito a essere figli nel Figlio, e vivere predicando a tutti la bellezza e la possibilità di diventarlo.
Rischiamo di essere come i compaesani di Gesù se lui è sì "il salvatore" e tanti bei titoli ma, per noi come per loro, alla fine è solo "il falegname", cioè uno come tanti che non sposta niente nella nostra vita concreta.
La morte ci spaventa, tanto che si ha paura persino di parlarne. Dobbiamo invece guardarla in faccia e combatterla come ha fatto Gesù, per vincerla con lui.
Giovanni il Battista, conosciuto da Dio fin dal seno materno, ci ricorda che anche noi, pur piccolissimi di fronte al più grande fra i nati di donna, siamo pensati da Dio, perciò preziosi ai suoi occhi.
La Parola, alla rincorsa del potere che questa settimana ci ha intasato gli occhi, contrappone il Regno di Dio come il granello di senape, e ci invita a fare la nostra scelta.
"La nostra vita è una tenda", dice san Paolo. È provvisoria. Viviamola come tale, senza scambiarla per stabile e definitiva, in modo da investire per una vera abitazione futura che nessuno e niente ci toglierà.
La celebrazione del Corpus Domini, una delle feste più amate della tradizione cristiana, deve stimolarci a rendere più vera la celebrazione della Santa Messa.
La festa di Dio, comunità di amore (Trinità), è l'occasione per riflettere sulla nostra fede nell'unico Dio, nell'essere suoi figli in Gesù Cristo, nella familiarità con lo Spirito Santo.
Dov'è finita quella lingua che tutti capivano come fosse la lingua nativa? È sempre a disposizione, se la parliamo non con le parole ma con i fatti.
Gesù, lasciando la terra, ha consegnato a noi il compito non soltanto di vivere il suo Vangelo, ma di predicarlo e farlo conoscere con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.
Il comandamento di Gesù non ha niente a che vedere con un generico "vogliamoci bene" e con un buonismo inefficace e deresponsabilizzante.
La fede in Gesù non è limitarsi a dedicare spazi alla preghiera, ai sacramenti e a qualche opera buona, ma cercare di vivere umilmente come lui è vissuto.
L'immagine del buon pastore ha sempre incantato i cristiani e non solo. In effetti è consolante e rassicurante. Essa però non è per la poesia. È la chiamata a una vita che sia dono per gli altri.
La fede cristiana non può limitarsi a preghiere, riti e opere buone per conquistare il paradiso. Deve essere testimonianza che Gesù risorto è in mezzo a noi con una vita "altra" che stimoli a riflettere e cambiare.
La Chiesa descritta dagli Atti degli Apostoli affascina. Ma se non la si può copiare la si può, però, far rivivere con una fede che trasformi la vita in profonda conoscenza e amicizia con Gesù.