L'evangelista Marco riporta il mandato del Signore Risorto ai suoi discepoli, ma l'invito "andate" è rivolto a tutti noi. Tutti sono chiamati ad annunciare il vangelo, partendo da quella porzione di mondo che è casa nostra.
Le prime comunità cristiane erano riconoscibili e stupivano i pagani soprattutto per la capacità dei membri di volersi bene reciprocamente; oggi è necessario recuperare questa dimensione di testimonianza, che ci rende credibili e fecondi.
I discepoli di Gesù sono tali se vivono uniti a lui, come i tralci alla vite, alimentati dalla linfa della grazia. Allora possono portare i frutti dell'amore, nell'esercizio concreto e quotidiano della carità.
Oggi, quando per la maggioranza assoluta della gente il pastore è il ricordo di una civiltà passata, o una figura letteraria, carica di nostalgica per l'aria pulita, l'acqua limpida e la serenità della campagna, il Buon Pastore rimanda inevitabilmente a quello con la pecorella sulle spalle della parabola di Luca.
La parola di Dio di questa domenica si concentra intorno a una consegna e a una promessa. Nel vangelo, Gesù, dopo aver cercato in tutti i modi di rassicurare i suoi di essere veramente risorto, non essere un fantasma o un'apparizione ingannevole, ma lo stesso che aveva vissuto con loro, lascia una consegna: "Di questo voi siete testimoni".
"Non essere incredulo, ma credente!". Gesù risorto rimprovera amichevolmente Tommaso, però è tornato tra i suoi discepoli per venire in soccorso alla fede dell'apostolo, mostrandogli le sue piaghe aperte. La misericordia di Gesù, sulla quale questa domenica ci invita a meditare, è tutta in questo gesto.
La processione che precede in forme più o meno solenni l'ascolto della Passione del Signore con lo sventolio festoso dei rami d'ulivo, è un momento gioioso. Apparentemente, però. In realtà, essa ci obbliga a una riflessione molto seria e impegnativa: la verifica della qualità della nostra fede.
"E' risorto, non è qui". E' l'annuncio della Pasqua che ogni anno si rinnova, e riempie di canti e di festa le nostre chiese, le nostre famiglie, ciascuno di noi, facendo risuonare di auguri le nostre case e le nostre vie. Tutto bello e consolante!
Non c'è giorno che non ci rattristi e non ci spinga allo scoraggiamento con notizie sempre più gravi e diffuse di corruzione e di malaffare da parte di tutti gli ambienti di vita, soprattutto da coloro che dovrebbero essere i garanti di una vita pubblica onesta e trasparente: i politici, gli amministratori pubblici e persino i giudici.
Il pianto degli esiliati, che sospirano il ritorno a Gerusalemme, diventa canto di gioia e di speranza, perché Dio salva il suo popolo e lo fa sedere alla mensa del cielo. Per questo, pur in condizione di provvisorietà, possiamo avere fiducia nel futuro e attendere il compimento delle promesse.
Questa terza domenica di Quaresima ci propone un aspetto di Gesù, che comunque vogliamo girarci intorno, disturba l'immagine sedimentata che abbiamo di lui. Sempre così buono, paziente e misericordioso, come mai questo improvviso momento di forte impazienza?
La Quaresima, come gli altri tempi liturgici, non è un'isoletta spirituale nella quale compiere esercitazioni particolari di fede, ma un tempo in cui i discepoli di Gesù, sostenendosi comunitariamente come Chiesa, rinvigoriscono e rafforzano il cammino che sono chiamati a compiere ogni giorno.
Abituati al racconto lungo e drammatico delle tentazioni di Gesù, quello dell'evangelista Marco un po' ci spiazza e ci sorprende. Cerchiamo di dimenticare per un attimo gli altri due e concentriamoci su questo, perché è con queste poche righe che oggi la Parola ci parla.
«Mangiare e bere». Azioni ordinarie e usuali, come vestirsi, uscire da casa, incontrare persone, mettersi al posto di lavoro, ritrovarsi per la pausa caffè davanti alla macchinetta, parlare di sport, di moda, del festival di Sanremo...
Con la stringatezza che gli è caratteristica, l'evangelista Marco ci apre due spaccati sull'umanità di Gesù, troppo spesso trascurata dalla nostra osservazione e di conseguenza dal nostro dovere di imitazione.